
Favara
Lillo Giglia
n.5 settembre/ottobre 2019
Ovvero un calabrone non dovrebbe volare secondo le leggi della fisica, non conoscendole, vola tranquillo…
Favara è una cittadina del territorio interno agrigentino. Conta circa 30.000 abitanti, è collocata in uno dei territori meno competitivi del Paese, non gode di particolari risorse sotto il profilo produttivo o turistico. Il centro storico, pur interessante, era fino a pochi anni fa in stato di grave abbandono: i nuovi quartieri sono connaturati da bassa qualità del tessuto abitativo e bassissima qualità di spazi aperti e infrastrutture, il tessuto produttivo, inizialmente diviso tra produzione agricola ed edilizia è oggi ridotto alla sola agricoltura e alle attività della vicina Agrigento.
Ma quello che è accaduto a Favara ci racconta che la realtà è sempre più stupefacente di analisi e indicatori: un notaio (Andrea Bartoli), illuminato dal concetto che l’arte (compresa quella del vivere) non sia elitaria, un architetto (Lillo Giglia) determinato a produrre rigenerazione sociale partendo dal proprio agire architettonico, e pochi altri ‘eroi’ hanno determinato la nascita di un processo rigenerativo di un centro storico nella profonda Sicilia, impostato su cultura, condivisione, creatività.
Il manipolo di eroi (così si sarebbe detto nel Risorgimento) hanno acquistato di tasca propria alcuni isolati con annessi cortili e li hanno adattati a centri culturali ed espositivi polivalenti. Hanno chiamato Cultural Urban Farm quest’isola, sorta in un tessuto urbano e sociale con molte ombre e poche luci.
Nel giro di pochissimi anni, un isolato tentativo di iniettare linfa vitale con una ricetta diversa da quanto proposto dalla letteratura urbanistica tradizionale, lavorando su concetti quali innovazione creativa-artistica, reti connettive, inclusione sociale, architettura adattiva si è trasformato in un processo virale capace di muovere, oggi, verso Favara 70.000 persone all’anno, in visita alle mostre e agli eventi organizzati.
In una cittadina inizialmente priva di vocazioni turistiche tradizionalmente intese, sono nati una trentina di B&B, un albergo di lusso, ristoranti, pub e altre strutture ricettive. La Farm non si ferma e cerca nuovi livelli di coinvolgimento con la popolazione. A Favara si stanno sperimentando nuovi sistemi di inclusione per rendere virale anche la rigenerazione.
Tra questi si citano le previste Spab (Società per azioni buone). Le Spab ideate propongono una via di mezzo tra il crowdfunding e i fondi di investimento immobiliare collettivo: in pratica viene proposto agli abitanti di investire una somma (da 1000 euro in su) in un ‘fondo’ che utilizzerà direttamente le risorse raccolte nella riqualificazione delle aree della città funzionali alla diffusione del fenomeno Urban Farm e ad altre iniziative (scuola di architettura per bambini, recuperi di spazi aperti che riqualifichino i quartieri, ecc).
Da questo processo descritto emerge che, pur in assenza di specifiche regole e agevolazioni (forse la non interferenza con i complessi iter urbanistico-edilizi necessari per interventi fisicamente più robusti è stata la sola agevolazione fruita), le energie sociali presenti sui territori possono scatenare evoluzioni e innovazioni inaspettate e tali da cambiarne i destini.
È evidente che occorre trarre da questa bella storia la necessità di predisporre sistemi che non necessariamente debbano basarsi su comportamenti ‘eroici’ di cittadini illuminati, tuttavia devono essere sistemi in grado di accoglierne le istanze e di dare loro seguito con procedure che sappiano mediare trasparenza, confronto, celerità, connessione tra energie economiche private e pubbliche.


