Matera

130 città medie

Lorenzo Bellicini

n.5 settembre/ottobre 2019

La debole tenuta di un modello insediativo italiano di fronte al progetto del futuro

QUANTE PERSONE ABITANO LE CITTÀ MEDIE?
“C’erano ieri e ci sono ancora oggi le Cento città d’Italia”, comincia così il saggio di Goffredo Fofi nell’opera di Treccani su L’Italia e le sue Regioni del 2015, richiamando il grande successo editoriale dei 192 fascicoli illustrati, Le cento città d’Italia illustrate, che Sonzogno farà arrivare in prima edizione nelle case degli italiani tra il 1887 e 1892, come allegati al Secolo d’Italia e come simbolo dell’Italia Unita. Il tema delle città medie che a Bard si è trattato, si inserisce in un quadro di analisi complesso che fa parte da un lato della questione ‘Italia terra di città’ e ‘di provincie’, in sostanza di territori minuti; dall’altro si deve confrontare con un modello insediativo che è fatto di città medie, ma anche di città non medie, di città un po’ più grandi (mai grandissime) e piccole (tante) e di ‘territorio diffuso costruito’.
Ma occupandoci di ‘città medie’, la prima domanda alla quale dovremmo cercare di dare risposta è quanto sono importanti le città medie in Italia, questione che potremmo subito tradurre, un po’ forzatamente, con: quanta popolazione italiana vive nelle città medie? E per rispondere a questa domanda dovremo affrontare la questione di che cosa definisce l’essere una città una città media. È una questione che si affronta in letteratura in vari modi; certo il principale è, non a caso, la dimensione demografica, ma non basta: si deve considerare anche il tema della delimitazione territoriale della città media. Già Carlo Cattaneo quando ci dice che “la città è il principio ideale della storia italiana” precisa, con la solita concreta profondità, che “la città formò col suo territorio un corpo inseparabile”. Questo è il vero principio del nostro Paese. Conviene allora, per dire cos’è una città media, seguire due strade: la prima definisce le dimensioni della città media in relazione con il suo territorio, e quindi è una definizione funzionale; la seconda si concentra sulla città in sé, ed è quindi una definizione puntuale, amministrativa.
Per affrontare la prima questione possiamo ricorrere allo studio dell’Istat sulle forme di urbanizzazione dell’Italia che, nel 2017, ha suddiviso il territorio italiano in 611 sistemi locali, definiti “sulla base della matrice dei flussi di pendolarismo casa-lavoro, come un’entità territoriale adeguata per rappresentare il fenomeno dell’urbanizzazione”. L’Istat ha individuato 21 “principali realtà urbane italiane” nelle quali vive il 36,3% della popolazione; 86 “sistemi locali delle città medie”, per i quali si è usato il criterio della popolazione urbana compresa tra i 50.000 e i 200.000 abitanti, nei quali vive il 26,4% della popolazione; e 504 sistemi locali minori nei quali vive il 37,3% della popolazione. Da questa analisi il ruolo delle città medie e dei loro territori è in qualche modo sminuito, ‘schiacciato’ dalle agglomerazioni maggiori e dal sistema dei sistemi insediativi “non urbanizzati”, come scrive l’Istat con una definizione non felice, che vedono sui loro territori equamente diviso il 73,6% della popolazione. Non possiamo quindi dire che le città medie sono oggi, con il loro territorio funzionale, il luogo in cui vive la maggior parte della popolazione italiana; possiamo però dire che un quarto della popolazione italiana vive nei sistemi locali delle città medie.
Cosa succede però se lasciamo il concetto di sistema locale e ci occupiamo solamente delle città nei loro confini amministrativi? Se usiamo i criteri dimensionali utilizzati dall’Istat per lo studio precedente, le città medie sono quelle comprese tra i 50.000 e i 200.000 abitanti. In Italia le città che hanno una popolazione tra i 50.000 e i 200.000 abitanti, sono 130; in Germania sono 144, in Francia 110, in Spagna 117. Vi è una certa regolarità nel numero delle città medie nei principali Paesi europei. Possiamo allora dire che le città medie non sono una specificità italiana? Nel numero no, non lo sono.
Le 130 città medie italiane raccolgono 11 milioni di abitanti, con una dimensione media di circa 85.000 abitanti; in queste città vive il 18,3% della popolazione. Il sistema delle città medie svolge un ruolo demografico di poco maggiore a quello delle 15 città principali che superano i 200.000 abitanti, nelle quali vivono 9,9 milioni di abitanti. Il 65% della popolazione italiana vive in comuni con meno di 50.000 abitanti.
In sintesi le città medie italiane sono abitate dal 26% della popolazione italiana se le esaminiamo attraverso i loro sistemi funzionali, ma dal 18,3% se le esaminiamo dal punto di vista amministrativo. Sono quindi una realtà importante del Paese, ma di minor peso rispetto ad altre modalità insediative.

CITTÀ MEDIE È UNA CATEGORIA?
Per il Convegno di Bard, il Cresme ha sviluppato una rapida analisi sulle 130 città definite nel punto precedente, basata su tre indicatori (dinamiche demografiche, reddito e mercato immobiliare) dalla quale sono derivate le seguenti considerazioni:
– Le città medie sono prevalentemente ‘città individuali’, sono città che alla fine rispecchiano caratteri, storie e capacità originali, singole. I dati analizzati non consentono infatti una lettura omogenea delle dinamiche delle città medie, le differenze sono molto grandi. Del resto la cosa non deve stupire, leggere oggi il Baldus di Teofilo Folengo e cinquecento anni dopo, Il grande racconto delle città italiane di Attilio Brilli, ci aiuta a capire che, come ha scritto Fofi, viviamo in un “Paese che è stato ed è appassionante per le sue differenze fisiche, storiche, sociali. Ancora oggi, colpisce chi si muove lungo la penisola quanto possano essere diverse antropologicamente e culturalmente città peraltro vicinissime tra loro, appartenenti a uno stesso territorio e a una simile storia.” Possiamo dire che l’Italia, oltre a essere una terra di grandi biodiversità animali e vegetali, di endemismo, di grandi eterogeneità ambientali e climatiche e culturali, è anche terra di ‘biodiversità urbane’, che hanno nelle città medie una componente importante, ma non certo l’unica né la principale. Ma soprattutto se tutto in Italia è particolare, è autoctono, è locale, ci troviamo di fronte a un determinante nazionale, un determinante non tipico, non esclusivo, della città media. In sostanza la categoria ‘città media’ oggi spiega poco;
– Il dato che colpisce di più nella comparazione è rappresentato dall’analisi sui redditi: non è solo una questione di reddito pro-capite (più basso nel complesso della media nazionale); le città medie registrano tra il 2012 e il 2017 performance di ripresa economica più deboli di quella, già debole, della media dell’intero Paese. È un dato che sorprende e sembrerebbe evidenziare la crisi della città media. Il mix sociale-economico-culturale della città media, della città della provincia, della ‘piccola città capitale’ è stato in grado nel passato, più volte, di garantire un ruolo propulsore dinamico nello sviluppo e nella crescita rispetto ad altre aree insediative del Paese. Oggi sembrerebbe invece emergere una perdita di ruolo trainante del corpo insediativo intermedio del Paese;
– In realtà i dati economici evidenziano grandi differenze tra le diverse città, e anche la debolezza delle città medie del Mezzogiorno (è un ritardo non totalmente generalizzato, vi sono eccezioni, ma i numeri sono chiari); l’aumento dello squilibrio tra Mezzogiorno e resto del Paese si misura e incide sulle città medie. Si tratta però anche in questo caso di un determinante da leggere su scala territoriale diversa da quella della categoria ‘città media’, forse potrebbe essere più utile usare la categoria che divide la città dei produttori e la città dei consumatori tipica di una letteratura che divide le città del Nord e del Mezzogiorno, o fare ricorso a altre tipologie funzionali;
– Nell’insieme, però, le città medie sembrano reggere meglio la crisi demografica, anche se i numeri descrivono uno scenario stagnante rispetto al Paese che perde tra il 2013 e il 2017 lo 0,5% della popolazione; secondo la previsione del sistema Cresme DemoSi, tra il 2017 e il 2030 la popolazione italiana si ridurrà del 2,9%; mentre quella delle città medie del 2,1%. Non solo, i valori positivi di molte città sono accompagnati da valori negativi molto importanti di altre città. Anche in questo caso il fattore determinante risiede nella crisi economica e demografica del Paese e della capacità competitiva della singola città, e non nel fatto di essere città media;
– Infine anche l’analisi dei dati del mercato immobiliare ci restituisce profonde spaccature tra le diverse città medie, e più che il numero delle compravendite che registra nel complesso delle 130 città analizzate un quadro di ripresa tra il 2013 e il 2018 coerente con quello nazionale, emergono grandi differenze interne sui tassi di crescita, mentre l’andamento dei prezzi fissa spaccature, divisioni, evidenziando condizioni economiche profondamente diverse tra chi vince e chi perde.
In sintesi, dalla speditiva analisi svolta la città media italiana sembra aver perso un po’ del suo lustro e certo della sua capacità di stare al passo con i tempi. E forse il risultato di questa breve riflessione è metterne in gioco il principio: la citta media senza il sistema di città e paesi minori e case sparse non spiega il Paese di oggi. Spiega quello di ieri. Certo forse il punto di vista che abbiamo utilizzato non funziona, e certo ha grandi limiti e poche pretese, ciò non di meno qualcosa suggerisce; forse una riflessione dovrebbe essere fatta analizzando il tema della ‘qualità della vita’, sul quale andrebbero misurate ben altre variabili, forse in grado di produrre altre risposte; oppure dovremmo riflettere sul concetto forse più fertile di ‘provincia’ (qui forse starebbe il vero principio del nostro Paese, la sua forza e il suo limite); ma in questo quadro che mette in discussione oggi il ruolo delle citta medie, vi è certamente qualcosa di importante da porre all’attenzione e che non è frutto di questa analisi. Parlo delle difficoltà che le città medie hanno nello stare al passo con la capacità di investire in infrastrutture, in servizi urbani, nella qualità dei processi di rigenerazione urbana. In sostanza nel produrre quel valore che le ha rese così importanti nella storia. L’analisi svolta sui bilanci delle città medie italiane realizzato dall’Ispel nel 2012, pur in un solo anno, ha mostrato come gli investimenti pro-capite in conto capitale delle città medie siano solo il 50% di quelli delle città metropolitane e l’80% di quelli dell’insieme dei comuni italiani. In un quadro dove gli investimenti in città nel nostro Paese, rispetto a quelli europei, sono, dopo la crisi, non comparabili, se non in pochissime realtà, le difficoltà principali della città media si vedono nelle difficoltà dello stare al passo non solo con gli altri, ma soprattutto con la propria storia, fatta di mirabilia, di arte, di cultura e di ‘bella architettura’, di ‘progetto di futuro’.

Lorenzo Bellicini
Lorenzo Bellicini
Laureato in architettura, è esperto di economia delle costruzioni e di trasformazioni urbane e territoriali. È attualmente direttore tecnico del Cresme.
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