Modello Basilica Palladiana

Viaggio a Vicenza

Testo di Philippe Meyer

n.1 luglio/agosto 2018

Quello che proponiamo ai nostri lettori è il punto di vista di un architetto sulla mostra monografica di David Chipperfield tenuta nella celeberrima Basilica Palladiana di Vicenza; una descrizione autoriale dell’allestimento che restituisce alla Basilica il ruolo di contenitore privilegiato nel panorama culturale architettonico italiano.

Ci dirigiamo sempre verso casa
Hermann Hesse

Partendo da Vicenza, entusiasti, assolutamente tutti si sentivano trasportati verso l’inaspettato. L’itinerario, che attraversava i paesaggi intorno alla città, accresceva il senso di mistero, il desiderio della scoperta, più tardi la conferma di un senso di privilegio.

Mi venivano in mente le parole che Hermann Hesse attribuiva al poeta Novalis: ‘Verso che cosa ci dirigiamo? Verso casa!’

In allegro disordine, eccoci arrivati. Finalmente. Un orifizio quasi pericoloso, scavato nella parete rocciosa, ci proietta all’improvviso in un mondo singolare. Quello di una cava, luogo di scavo divenuto all’improvviso luogo scenico. Magico, lo spazio – libero, fluido – non è sostenuto se non da ciò che non può più essere sottratto. Il negativo dell’estrazione, le colonne di pietra.

Mi tornavano alla memoria le immagini del progetto in mostra, scoperto qualche ora prima, e che ora si offriva ai nostri occhi. Un progetto generico. Un progetto per l’uomo e per il genere umano. Lo svelamento di un luogo. Queste immagini ci avevano accompagnato per tutta la giornata. Le immagini generate dalle parole, prima di tutto: quelle di David Chipperfield, scelte per esprimere a fondo l’essenza di un mestiere, di una professione. L’architettura di David Chipperfield è quella di un viaggio. La mostra proposta a Vicenza ne è l’invito.

Un viaggio che non si compie solo attraverso lo spazio ma anche attraverso il tempo. David Chipperfield ha in un modo o nell’altro ‘installato’ la sua architettura entro le mura della Basilica Palladiana. E questa ‘occupazione’ non lascia nulla al caso. Non si tratta di una mostra retrospettiva e tuttavia – nell’insieme dei progetti presentati, recenti, compiuti o in corso – traspare l’intero insieme di un’opera in tutta la sua costanza e la sua pazienza. In questo la Basilica di Vicenza rappresenta il luogo ideale. Nel suo processo, in ciò che simboleggia, raffigura e concentra i temi essenziali che definiscono il lavoro dell’architetto. E questa definizione rappresenta una forma metaforica dell’opera di Chipperfield.

Nulla prende corpo e materia dal nulla, tutto è contenuto in ciò che già esiste, presente nel paesaggio, presente nel terreno interessato, presente nella storia stessa dei muri già costruiti. Una parola sembra imporsi come dato evidente. Dimensione. Una dimensione poetica che poggia sulla sperimentazione come sulla teoria, sul sapere, sulla tecnologia.

Una dimensione culturale che dimostra la stupefacente capacità di collocare la pratica dell’architettura al di là dei limiti del saper fare. Pensata anch’essa come un progetto, la mostra non si paragona alla Basilica ma trova in questo luogo il calco di un pensiero.

Non c’è alcun vincolo obbligato di un progetto a un altro, non c’è volontà di trovarvi una coerenza immediata se non quella che conduce alla lettura globale di un’opera.

La Basilica diviene il momento della mostra, uno studio tra gli studi, la trasposizione articolata dei vari luoghi per chi, in tutto il mondo, lavora su una vasta diversità di incarichi. Uno studio comune.

I progetti presentati – diciotto – trovano dunque in questo volume e nel suo spessore urbano una risonanza particolare. Ne emana così un senso di familiarità, una forma di parentela nello sguardo volto all’opera comparata di Palladio e di Chipperfield.

Il parallelo è palese. La questione dell’incarico, quella della scala, quella dei valori dati o aggiunti. L’incarico che sceglie e l’incarico scelto, una forma di eccellenza, per i temi affrontati e per quelli che progressivamente – poiché sono alla base dei temi essenziali: la casa, sempre la casa, lo spazio sacro, i luoghi di conservazione dei valori culturali del nostro tempo – si presentano a David Chipperfield come ieri si presentavano ad Andrea Palladio.

La scala, quella della Basilica, quella di un grande salone, che contiene, che si astrae dalla città pur strutturandola, e che impone, con la sua presenza, il silenzio. Le scale, quelle che con la loro generosità imprimono un carattere, una permanenza, e impongono una forma di sfida al tempo. I valori dati, aggiunti, infine, quelli dell’autenticità, della verità della materia e delle modalità costruttive, che superano la stretta cornice dell’incarico e del programma per ricercare, e spesso raggiungere, l’atemporalità. Percorrendo la mostra nulla ci parla dell’architetto ma tutto ci parla di architettura e di cultura.

È assente l’espressione di un gesto, di un segno d’ostentazione che potrebbe far parlare di sé, ma ci sono invece muri quasi sempre pesanti, spessi, costruiti per far parlare gli altri, coloro ai quali sono destinati, costruiti per esprimere un luogo. L’architetto si cancella, tanto la sua prospettiva appare eclettica, ma nell’insieme, nell’addizione, il marchio che si imprime è uno solo.

Si sente qui il peso della ricerca, una definizione ampia del lavoro dell’architetto, un approccio metodologico che sfugge a ogni meccanizzazione, a ogni automatismo della risposta, e che illustra la varietà dei modi di intervento. Ogni domanda è differente, affrontare la domanda è già, in parte, una risposta, ma se il linguaggio resta intelligibile, di scrittura ordinaria, riconoscibile, non usa le stesse parole se non per dire le stesse cose.

La scenografia immaginata in modo condiviso dai quattro studi David Chipperfield, predefinisce un percorso ad anello, un anello che non è affatto vincolato da una sequenza di progetti che la prossimità oppure la complementarità renderebbe indispensabile, ma definendo il fatto che la temporalità non ha effetti sul pensiero applicato a ciascun intervento. La decisione e l’atto del costruire non hanno qui alcun riferimento diretto.

I progetti di David Chipperfield Architects nascono e rimangono legati a un luogo, un progetto in Giappone sarà per sempre giapponese, un progetto in Germania rimarrà per sempre tedesco: si tratta di cultura prima che dell’architettura che se ne nutre, e trova nei muri che la costruiscono un equilibrio sottile tra stabilità e sensibilità.

Danzano ancora nel ricordo di questo viaggio a Vicenza, le colonne della Cavea Arcari, la profondità di quelle grotte, il loro riflesso nello specchio d’acqua da cui emergono, il contrasto della luce e dell’oscurità, la frescura dell’aria. Il suono dei passi: ci ho visto la casa, le case, tutte le case.

Crediti
Oggetto
Mostra David Chipperfield Works 2018, Basilica Palladiana, Vicenza
Periodo di apertura
12 maggio – 2 settembre 2018
Promotori
Comune di Vicenza, Assessorato alla Crescita, Abacoarchitettura, OAPPC – Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Vicenza
Catalogo
‘David Chipperfield Architects Works 2018, Basilica Palladiana, Vicenza’, Edizioni Koenig Books, Londra e Mondadori Electa SpA, Milano 2018
Progetto allestimento
David Chipperfield Architects
Modello Basilica Palladiana
Pianta mostra Chipperfield a Vicenza
Cavea Arcari dall’acqua
Concerto nella Cavea Arcari
Interno mostra Chipperfield a Vicenza
Gradinata Cavea Arcari