Il timpano di Santa Maria dell’Anima, Roma

Verso il congresso

Testo di Giuseppe Cappochin

n.1 luglio/agosto 2018

In un momento difficile della nostra contemporaneità in cui si tenta di passare da un’epoca a un’altra, gli architetti italiani cercano di ritrovare il loro senso di comunità, e lo fanno pubblicamente attraverso l’VIII Congresso Nazionale della loro storia. Per questa speciale occasione abbiamo chiesto al presidente Giuseppe Cappochin – che tutto questo ha sostenuto e fortemente voluto – di raccontarci la sua pluriennale attività all’interno degli Ordini e d’indicarci le ragioni per un Congresso oggi e quali speranze esso vuole portare al Paese

La mia storia non ha niente di particolare, è una storia normale. Ho iniziato a lavorare molto presto, nel 1967, in una fabbrica, dove si costruivano reti e nastri trasportatori metallici. Mi sono iscritto alla facoltà di architettura quasi dieci anni dopo allo IUAV di Venezia. Venivo da Padova, frequentavo l’università lavorando e non sempre riuscivo a seguire le lezioni. All’università eravamo un gruppo di tre amici che frequentavano a turno perché tutti nella stessa situazione, registravamo e ascoltavamo le lezioni in macchina rientrando a casa e nei momenti liberi. Durante la settimana, al termine della giornata lavorativa, andavamo a farci due spaghettini (in piedi) al vicino ristorante ‘Isola di Caprera’ e dopo si iniziava a studiare fino a tarda ora, mentre il sabato e la domenica erano sempre dedicati allo studio. Ero già sposato, due dei miei tre figli sono nati durante il periodo universitario. Oggi, se ripenso a quegli anni, posso dire che sono stati veramente molto intensi. Terminato il periodo universitario, nel 1982, dopo la laurea, avevo avviato una discreta attività professionale. All’epoca, per i lavori pubblici realizzati con il finanziamento della Cassa Depositi e Prestiti, era obbligatorio farsi liquidare la parcella dall’Ordine Professionale. Avevo approfondito tutta la giurisprudenza sulla tariffa e sapevo che le mie parcelle erano correttamente formulate ma, ogni volta, venivano posti ostacoli alla loro liquidazione e spesso, assieme a tanti altri architetti, ne venivo penalizzato. Così ho creato un movimento con un gruppo di amici: non accettavo che fossimo trattati in quel modo. Un mio amico e collega, che aveva partecipato a queste dispute, al momento delle elezioni per il rinnovo del Consiglio dell’Ordine, senza avvisarmi, ha inserito anche il mio nome nella lista. Fatalità ha voluto che l’unico a essere eletto di quella lista fossi proprio io: così sono entrato nel Consiglio dell’Ordine, sebbene non fosse assolutamente nei miei programmi. Nel biennio successivo sono stato rieletto, nominato vicepresidente e presidente della Commissione parcelle. Le parcelle da esaminare erano tante e, prima di sottoporle alla Commissione competente, le controllavo personalmente allo scopo di condividere preventivamente con i colleghi le correzioni da apportare. Ho sempre pensato che deve esserci un rapporto di collaborazione nella massima trasparenza e regolarità, con l’obiettivo di ridurre al massimo la tempistica di approvazione. Oggi vedo la difficoltà che hanno gli iscritti a partecipare alla vita dell’Ordine, per avvicinarli si devono fare delle azioni concrete, altrimenti lo vivono solo come una tassa da pagare. Non infrequentemente i colleghi confondono il ruolo dell’Ordine con quello del sindacato: l’Ordine, a differenza del sindacato che tutela gli iscritti, tutela l’interesse pubblico connesso all’esercizio della professione e, conseguentemente, l’architettura e non gli iscritti, anche se in molte circostanze la tutela dell’architettura ha come conseguenza anche la tutela degli iscritti. Tutto questo l’ho capito facendo parte dell’Ordine, ho capito la sua importanza e non l’ho mai abbandonato.

Nel 1996 sono diventato presidente dell’Ordine di Padova, dove sono rimasto forse anche troppo a lungo, fino a marzo 2016, ma solo per l’unanime insistenza di tutti i consiglieri.

La mia partecipazione successiva al Consiglio Nazionale è una storia che parte da lontano: Raffaele Sirica insisteva già nel 2000 affinché mi candidassi; poi di nuovo nel 2005, e lì fece maggiore pressione perché nel frattempo ero anche diventato, oltre che presidente del Comitato unitario delle professioni del Veneto, coordinatore del Forum delle professioni intellettuali del Nord Italia, con oltre 800 Ordini e Collegi – creando un rapporto di vicinanza, sinergico, sia con i presidenti degli Ordini degli architetti sia con quelli delle altre categorie. Ricordo che una sera, a Venezia, gli dissi: “Ho perso una figlia da poco e non me la sento di lasciare la mia famiglia vari giorni alla settimana, per venire a Roma. Mi dispiace ma non sono interessato”; forse non mi ha capito perché per lui l’Ordine aveva la priorità su tutto. Non avevo mai coltivato la mia candidatura al Consiglio Nazionale, non sapendo se avrei avuto le capacità per affrontare un tale impegno. Nell’ultimo mandato alla presidenza di Padova, su insistenza di molti amici presidenti e dopo lunga meditazione, ho dato la disponibilità a candidarmi al Consiglio Nazionale, ponendo come unica condizione l’impegno di tutti in un progetto finalizzato a ridare prestigio e autorevolezza all’intera categoria: non mi interessava venire a Roma per avere la medaglietta da presidente.

Fare il presidente nazionale è un immenso onore, ma comporta un enorme impegno che poco si concilia con l’attività professionale, specie se si è titolare di uno studio con dipendenti, in quanto, ovviamente, la priorità va sempre riservata all’attività istituzionale.

Subito dopo l’insediamento, in un clima non facile, visto il grande equilibrio risultante dall’esito delle elezioni, conclusesi con un solo voto di differenza, ho approfittato del ponte pasquale, trascorso in montagna, per analizzare e confrontare in dettaglio i due programmi elettorali e, in particolare, i punti di convergenza e quelli con divergenze o contrapposizioni.

Sono arrivato nella prima seduta del Consiglio, dove il clima non era ovviamente dei migliori, e 

ho proposto di discutere come fossimo tra amici, senza votare ma condividendo delle scelte. Tra quel giorno e il successivo, abbiamo chiuso tutta l’operazione all’unanimità, decidendo la scelta dei dipartimenti e i relativi responsabili. Naturalmente all’inizio c’era diffidenza ma, un po’ alla volta, si è creato un rapporto di fiducia che si è sempre più consolidato e oggi, a distanza di due anni, ho la fortuna di lavorare con una bellissima squadra coesa, composta da colleghi intelligenti, responsabili, impegnati in un ambizioso progetto condiviso.

Ogni consigliere, sulla scorta degli obiettivi del programma generale, si è impegnato a preparare il programma del proprio dipartimento, affinato e poi discusso tutti insieme. Nella prima Conferenza degli Ordini all’Acquario Romano, abbiamo illustrato, ognuno per la propria parte, il programma generale e, già in quella occasione, a un mese e mezzo dall’insediamento, abbiamo dato a tutti gli Ordini italiani, presenti in grandissimo numero, la visione di una squadra unita e coesa. Il nostro programma ha l’obiettivo di creare una rete solida tra il Consiglio Nazionale e gli Ordini Territoriali; una volta queste istituzioni erano autoreferenziali e scarsamente collaborative; oggi, al contrario, il Consiglio Nazionale e la Conferenza degli Ordini operano in grande sinergia.

Le decisioni politiche importanti vengono condivise così da proporre ai rappresentanti delle istituzioni la sintesi delle idee dei rappresentanti istituzionali della categoria; così facendo, ritrovo dentro di me una forza incredibile. Questo per me è il ruolo di un presidente: far sì che tutti si sentano partecipi e protagonisti nell’ambito di una squadra.

Bisogna avere la consapevolezza che queste responsabilità non vanno affrontate con l’intento di diventare il principale protagonista, ma semplicemente per essere un coordinatore che fa sintesi dei diversi contributi, con spirito di servizio. Io sono il coordinatore della squadra, nella squadra sta la forza e non nelle singole persone; l’individualismo purtroppo, è uno dei punti deboli del nostro momento storico.

Il progetto che abbiamo sviluppato, che reputo di estrema importanza, prevede una rete degli Ordini italiani legata al Consiglio Nazionale, cioè una macchina unica con 154.000 iscritti.

Uno dei primi temi affrontati nel programma, appena eletti i consiglieri, è quello dell’aggiornamento professionale continuo; il secondo, molto delicato, riguarda le sanzioni specifiche da sviluppare con un’omogeneità di comportamento. Oggi c’è la formazione triennale e la possibilità, con il ravvedimento operoso, di avere altri sei mesi di riserva per regolare la propria situazione prima di attivare il provvedimento disciplinare. Il gruppo operativo della formazione ha lavorato su questi temi insieme al gruppo della deontologia perché le due materie si permeano, a dimostrazione che non ci sono steccati tra i dipartimenti.

Il Consiglio Nazionale può contare attualmente su una trentina di gruppi operativi – quasi 200 architetti da tutti gli Ordini d’Italia – che stanno dando grossi contributi. Sul tema dei lavori pubblici, per esempio, tre gruppi operativi, distinti per problematiche, hanno preparato le modifiche al codice degli appalti. Abbiamo ottenuto dei risultati concreti mai raggiunti in passato. 

Altro tema è quello dei concorsi e siamo impegnati nel promuovere concorsi di progettazione in due gradi impostati su precisi criteri procedurali, aperti a tutti, anche ai giovani, promuovendo così un confronto ampio e una qualità media elevata. Infine abbiamo organizzato il Congresso nazionale, allo scopo di far sentire la voce autorevole degli architetti proprio nel momento di grandi trasformazioni epocali che stiamo vivendo. Sono stati due anni di lavoro caratterizzati da un’intensità eccezionale. Fino a oggi i Congressi sono stati principalmente di natura corporativa, nella logica dell’architetto, del ruolo dell’architetto e della sua importanza, dimenticando che c’è qualcosa che ha una maggiore rilevanza: il Paese. 

Se vogliamo essere ascoltati dal Paese, dobbiamo far capire quanto sia indispensabile la figura e la professionalità dell’architetto per una vita di maggiore qualità.

Il Congresso quindi diventa strategico perché, capitando poco prima di metà mandato, restano ancora quasi tre anni per avviare un processo di trasformazione vero e innovativo; in questa ottica il Congresso non è un punto di arrivo ma un punto di partenza con delle buone probabilità di raggiungere obiettivi concreti. Le città del futuro prossimo sono il tema centrale dell’VIII Congresso Nazionale, poiché riteniamo che la città sia materia di grande interesse per gli architetti e non solo; tra tutte le figure professionali, solo quella dell’architetto ha la capacità di coordinare la complessità di un tema di natura urbanistica, architettonica, sociale, ambientale ed economica. Intervenendo sulla qualità dell’architettura e della città, contribuiamo al raggiungimento della qualità della vita. Su questo tema sono mancate delle valutazioni lungimiranti. La politica ha fatto di tutto perché diventassimo dei dipendenti delle società di capitali non ponendosi come obiettivo quindi la qualità ma salvaguardando gli interessi dei grandi gruppi. Dobbiamo combattere queste scelte, nella maniera più assoluta, riacquistando quel ruolo che gli architetti avevano nel passato; non possiamo soltanto lamentarci, dobbiamo lavorare, studiare e approfondire per elevare le nostre capacità professionali; dobbiamo applicare tutte le nostre forze in questa direzione.

La città contiene tutto quello che è l’attività dell’architetto e, quando parliamo di città, non intendiamo la città metropolitana, ma tutto il territorio e altro ancora. Va detto che questo Congresso arriva dopo una lunga campagna di conoscenza e di ascolto fatta in alcune grandi città internazionali – Parigi, Londra, Amburgo, Lubiana, Stoccolma, Helsinki – e in un giro per l’Italia in quattordici tappe. L’Italia ha una realtà diversificata, fatta di città medio-grandi, piccole, tanti magnifici borghi strutturati come fossero delle piccole comunità con la loro piazza centrale, il municipio, la chiesa e le case, gli spazi pubblici. Ma per fare delle proposte ci vogliono non solo l’analisi e la conoscenza della realtà, ma anche avere le proiezioni di quello che sarà il futuro dal punto di vista statistico, per questo abbiamo interpellato il Cresme.

In quelle diverse realtà abbiamo riscontrato situazioni completamente differenti, situazioni che però hanno un minimo comun denominatore: la persona al centro del progetto, sia nelle aree interne sia nelle aree metropolitane, rimarcando così il valore sociale della nostra professione.

Da qui deriva tutta una declinazione: la città del futuro che guarda all’Agenda Urbana 2030, la qualità della vita, la qualità dell’architettura.

La qualità dell’architettura comporta una legge per l’architettura e per la cultura dell’ambiente costruito non perché la qualità si faccia per legge, ma perché la legge può fornire gli strumenti per promuovere la qualità. Subito dopo il Congresso, sul tema del futuro prossimo, coinvolgeremo i ‘cittadini del futuro’, avviando una grande iniziativa nel mondo della scuola dall’infanzia all’università, per sapere cosa pensano i bambini e i ragazzi del loro rapporto con la città, con la casa e con gli spazi pubblici, in collaborazione anche con la Fondazione Reggio Children, la cui Presidente Carla Rinaldi ha definito l’iniziativa una ‘pazzia’ e proprio per questo meritevole di essere promossa.

Il Congresso è un dono che offriamo al Paese, perché esso non vuole essere un momento corporativo rivolto solo agli architetti, ma uno spazio di riflessione e verifica pensato nell’interesse di tutta la società. 

È un dono non presuntuoso, che parte da una grande analisi fatta su tutto quello che avviene nel mondo e in Europa; un’analisi che non abbiamo fatto solo sui libri, ma basata su esperienze vissute, visitando le realtà più avanzate in Europa, scambiando opinioni con gli architetti, gli amministratori e i politici. Tutte le persone incontrate nel nostro giro sono venute poi a Padova, dove abbiamo organizzato una serie di conferenze di alto livello, molto seguite dalla cittadinanza.

L’obiettivo ultimo del Consiglio Nazionale è di riuscire, insieme ai Consigli Provinciali, tutti impegnati nella stessa direzione, a far sì che gli architetti vedano e vivano l’Ordine come un riferimento importante per tutti, nell’interesse del Paese, generando l’orgoglio di appartenere a una categoria che può e deve diventare protagonista nell’indirizzare le scelte future per un abitare migliore sulla terra.

I successi, non dobbiamo dubitarne, saranno la conseguenza dei nostri sogni.

Giuseppe Cappochin e Nicola Di Battista
Giuseppe Cappochin e Nicola Di Battista
Giuseppe Cappochin e Nicola Di Battista
Dettaglio di Santa Maria dell’Anima, Roma
Giuseppe Cappochin e Nicola Di Battista
Il timpano di Santa Maria dell’Anima, Roma