Aula Gesù Maestro a Potenza

Una scrivania in disordine

Testo di Vincenzo Melluso

n.2 settembre/ottobre 2018

I lavori di Vincenzo Melluso e Vincent Van Duysen propongono due pensieri appassionati sul modo di progettare per abitare l’architettura, riportandoci ai valori fondamentali del fare architettura oggi. Qui i luoghi dell’abitare si esprimono in un equilibrio delicato e raffinato, tra conoscenza della tradizione e dell’innovazione, capace di dare un senso profondo alle cose. Due esperienze emblematiche, fondate su un forte impegno civile, in cui la molteplicità degli elementi utilizzati trova sempre una giusta sintesi formale senza cadere mai nei vani formalismi e nelle chimere dell’high-tech che sono purtroppo diventati alcuni dei caratteri più negativi ed evidenti assunti dalla nostra disciplina nell’epoca attuale.

Ora ho osservato con più attenzione la mia scrivania e ho concluso che non ci si può cavare niente di buono. Troppe cose sparse che creano un disordine privo di armonia e di quell’equilibrio tra gli oggetti sparsi che altrimenti rende tollerabile qualsiasi disordine’ – Franz Kafka

Sulla questione dell’abitare mi sollecita a scrivere Nicola Di Battista. Chiede il mio punto di vista. Bella sfida oggi tentare di rimettere ordine su questioni così cruciali per la condizione della vita dell’uomo, con la consapevolezza che tanto si è scritto, in modo autorevole, e tanto si continua a scrivere e a fare, a volte con alla base tanti fraintendimenti.

Ci provo comunque. In questo tentativo di mettere in ordine alcune mie considerazioni sul tema, vorrei però procedere attraverso alcuni ‘prestiti’. Nell’accingermi allora a scrivere mi tornano in mente due esperienze diverse tra loro: una legata alla musica, l’altra alla letteratura. Esperienze, quindi, non esattamente nel solco della disciplina del progetto di architettura, ma certamente contigue e che spesso si intersecano. Citarle, in questa circostanza, lo considero estremamente utile per fare emergere il mio punto di vista.

Ho la precisa consapevolezza di quante analogie si possono riscontrare tra la composizione di un brano musicale e di un testo letterario. Per modalità di ideazione, sensibilità e carica evocativa delle migliori esperienze possiamo certamente ricondurle alla costruzione dell’architettura, quindi dello spazio dell’abitare. Proprio nei giorni scorsi riascoltavo alcuni brani dello straordinario musicista americano John Cage, ne ricordo adesso solo uno: In a Landscape. Un brano composto da Cage nell’ormai lontano 1948, settant’anni fa. Perché ricordarlo in questa circostanza?

Desidero rammentarlo per la sua straordinaria capacità di fare convivere modernità e conoscenza del passato, innovazione e tradizione, in un equilibrio tanto delicato e raffinato, attraverso una profonda conoscenza della disciplina musicale e della sua storia. Cage crea delle atmosfere straordinarie, così come il brano appena ricordato, uno dei suoi più coinvolgenti: una grande armonia. È forse quello che manca oggi nelle nostre città? Proprio nell’insediamento umano per antonomasia? Adesso il mio ricordo si volge a una lettura ormai passata, ma sempre viva nella mia mente per il valore etico che emerge dalle pagine del libro. Il pensiero è all’appassionante Memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar. Un libro più o meno coevo al brano citato di Cage, almeno nella sua prima edizione (1951). Qui la Yourcenar utilizza la figura dell’imperatore romano per sostenere con vigore la necessità di un impegno fondato su una forte coscienza civile, un grande senso etico. Un passaggio del libro della scrittrice francese mi pare opportuno adesso ricordare:
“… costruire significa collaborare con la Terra, imprimere il segno dell’uomo su un paesaggio che ne resterà modificato per sempre; contribuire inoltre a quella lenta trasformazione che è la vita stessa delle città. Quanta cura, per escogitare la collocazione esatta di un ponte e d’una fontana, per dare a una strada di montagna la curva più economica che è al tempo stesso la più pura! … Costruire un porto, significa fecondare la bellezza d’un golfo. Fondare biblioteche, è come costruire ancora granai pubblici, ammassare riserve contro un inverno dello spirito che da molti indizi, mio malgrado, vedo venire”. È certo un grande richiamo alla necessità di dare misura e senso alle cose. Questo si richiede nella costruzione della dimensione dell’abitare: un ritrovato valore etico nella nostra azione. Si tratta allora di tornare a riprendere un percorso che, temo, in questi ultimi tempi si sia smarrito, in particolare in Italia. Una traccia da ricostruire allontanandosi il più possibile dai rivoli di una ricerca di clamore, troppo spesso inutile, e molto frequentemente segnata da una spiccata autoreferenzialità.

Abbiamo un compito, noi architetti, di grande responsabilità civile nel dovere pensare gli spazi per l’abitare. In questo senso è necessario che, soprattutto le nuove generazioni, si rivolgano

ai loro compiti con maggiore misura, avendo cura di acquisire la consapevolezza di quanto

(e variegato) pensiero può esserci intorno all’architettura.

Un pensiero che può includere notevoli sollecitazioni per concepire i luoghi dell’abitare. A partire da queste iniziali riflessioni, la mia convinzione si fonda sull’idea che per costruire spazi dell’abitare adeguati è necessario per prima cosa imparare a vedere. Bisogna addestrarsi e poi impegnarsi a comprendere quanto sta intorno a noi, com’è composta la realtà che osserviamo e come si struttura il sistema delle relazioni che la attraversa. Un richiamo a dare ‘senso’ al nostro fare. Una riflessione che scaturisce dall’osservazione degli strumenti che oggi, in numero sempre maggiore e diversificato, per forma e contenuto – spesso però senza un adeguato e autorevole apparato critico – costruiscono una descrizione dove l’architettura non è altro che un gioco pretestuoso di forme, frequentemente stravaganti e difficilmente comprensibili, a volte anche inabitabili. Si estende sempre più una condizione dell’architettura diffusamente effimera, carente di basi solide e non legittimate da un pensiero attento e rigoroso. Bisogna allora ritrovarsi in una ricerca disciplinare capace ancora di fondarsi su una salda logica compositiva e sulla costruzione di strategici sistemi di relazione tra le parti. Tutto questo dedicando attenzione e misura ai dispositivi, alle gerarchie, ai meccanismi, ai linguaggi che si rendono necessari nella costruzione della forma architettonica, della struttura della città: dello spazio dell’abitare. Circa vent’anni fa ebbi una lunga conversazione con Alberto Sartoris. Nella sua casa-studio di Rue des Bons Enfants, a Cossanay, nella Svizzera francese, chiedevo al Maestro, protagonista e figura poliedrica del Movimento Moderno, di offrirmi alcune valutazioni sulle possibili prospettive per i nuovi architetti.

La sua risposta non era certamente una semplice formula, né uno slogan come i tanti che oggi ci assediano, ma un denso e ricco concentrato di esperienze e conoscenze su cui ebbi più volte, anche in seguito all’incontro, occasione di riflettere e che adesso, in questa circostanza, desidero testualmente riprendere: “Per conformarsi alle prospettive tracciate dalle continue metamorfosi delle arti, tenendo ben presente che nell’architettura non vi è evoluzione” precisava nel 1992 Sartoris “le nuove generazioni devono … affrontare e risolvere i problemi inerenti al significato dei luoghi (alla loro storia e al loro sviluppo), all’architettura come forma, funzione e geometria territoriale, alla moltiplicazione mediterranea degli spazi e delle visioni interne degli edifici, all’inserimento dell’architettura nel tessuto urbano non come elemento facente da sé, ma come corpo creatore di ambienti, atmosfere, climi. … Nell’attuale epoca di crisi e di sconvolgimenti, crisi e sconvolgimenti che il mondo conosce da tempi immemorabili – chissà perché poi alla fine, allora come oggi, il mondo è sempre in un’epoca di crisi e sconvolgimenti – il ruolo dell’architettura, dell’urbanismo e perciò della vita della città, risulta sempre lo stesso: la ricerca, ogni volta più impellente, della casa della felicità”. Una bella lezione, che può aiutarci a riportare ordine anche sulla scrivania di Franz Kafka!

Aula Gesù Maestro a Potenza
Interno Gesù Maestro a Potenza
Casa Barbera a Messina
Casa Barbera a Messina
Schizzo Piazza del Ponte a Mendrisio
Modello Piazza del Ponte a Mendrisio