
Terre in movimento
n.5 settembre/ottobre 2019
Un illuminato progetto di committenza pubblica si conclude con una mirabile mostra dei materiali prodotti: le fotografie di tre grandi artisti. A disegnare l’allestimento della mostra è un giovane studio romano, Gnomone, selezionato su concorso, che all’interno della storica chiesa di san Gregorio ad Ancona – restituita oggi alla città dopo un restauro durato decenni – riesce a comporre con sapienza l’antico spazio con le opere esposte. Gli angusti spazi di distribuzione, rivestiti di pannelli in pvc specchianti, dai marcati effetti distorsivi, insieme a una pavimentazione di moquette nera, creano un forte contrasto cromatico con la parte superiore della chiesa e con gli spazi espositivi completamente bianchi
La mostra ‘Terre in movimento’ ha raccolto le opere commissionate a tre artisti internazionali per raccontare la porzione di territorio delle Marche danneggiato dal terremoto del 2016, una ricognizione non descrittiva ma fortemente autoriale sui luoghi interessati dal sisma, sull’inizio della ricostruzione, sulle comunità, sul patrimonio artistico minacciato.
Lo spazio scelto per accogliere la mostra è la chiesa di San Gregorio ad Ancona, sottratta alla città per una campagna di restauri, a seguito del sisma del 1972, durata quarantasei anni e riaperta in questa occasione, rientrando nel circuito vitale degli spazi della cultura di Ancona e delle Marche.
Il progetto di allestimento risponde all’esigenza di esporre delle opere d’arte in uno spazio che è di per sé già patrimonio storico-artistico.
Considerando dunque di pari importanza le necessità di mettere in mostra tanto le opere quanto la chiesa stessa, l’allestimento si fonda su questo duplice intento.
L’allestimento riserva ai visitatori due esperienze distinte seppur combinate tra loro, come un unico elemento ma costituito da due facce opposte; una parete continua stabilisce così uno spazio interno e uno esterno.
Lo spazio interno è riservato alla relazione con la chiesa. La superficie continua specchiante che lo circoscrive e il pavimento nero lo rendono uno spazio concitato, disorientante, in cui la chiesa si moltiplica e si riproduce in maniera imprevista e cangiante a ogni passo.
Tutto è teso nell’osservare la chiesa e il suo apparato ornamentale, la copertura a botte ribassata, gli altari, le colonne e gli stucchi settecenteschi.
Lo spazio esterno è invece interamente destinato all’esibizione delle opere. L’allestimento si fa discreto, lasciando il protagonismo della scena alle fotografie e ai video.
La premura di accogliere e far risaltare le opere nel più efficace modo possibile è ciò che guida il suo assetto: lo sfondo della parete è bianco, la luce regolata ad hoc, la distanza di osservazione ben calibrata. Lo spazio definito dall’allestimento e dal perimetro della chiesa è quieto e disteso. L’attenzione si concentra unicamente sulle opere.
L’ingresso all’esposizione avviene tramite le due porte laterali della chiesa, che introducono direttamente dentro lo spazio interno dell’allestimento, presentando con tutte le informazioni necessarie, sia la mostra che lo spazio che la accoglie.
Da qui un percorso centrale, in asse con la chiesa, distribuisce le sale e si ramifica. L’esposizione si compone in tre momenti, cadenzati tra loro, ognuno corrispondente a uno dei tre artisti invitati. Le fotografie in bianco e nero di Paola De Pietri si articolano in quattro stanze, coniugando ritratti di persone a rappresentazioni di sbancamenti e rovine. I due video di Petra Noordkamp, che riprendono rispettivamente i resti delle case popolari distrutte e gli oggetti recuperati dalle chiese, sono esposti uno di fianco all’altro in un unico spazio.
Infine alle opere di Olivo Barbieri è riservato un ampio spazio a tre pareti in cui le due quadrerie affiancate occupano la parete centrale e le grandi opere singole a destra e a sinistra sulle due pareti laterali.
L’autonomia del lavoro di ogni artista viene pienamente rispettata e il dialogo tra le opere è dato dalla sequenza delle sezioni e non dalla loro miscela.
A unire il tutto è l’allestimento, che declina, in accordo con le rispettive richieste degli artisti, il medesimo trattamento espositivo.
Il visitatore è chiamato a una esperienza di conquista degli spazi, volutamente straniante, sorprendente, fuori dal quotidiano, ed è stimolato a scoprire le fotografie e i video con concentrazione ed empatia, in una relazione intima con le opere esposte.
Il percorso espositivo offre un margine di libertà nella scelta della fruizione della mostra, purtuttavia induce inevitabilmente alla successione alternata tra lo spazio interno e quello esterno, configurando la visita come un’esperienza in continuo mutamento e dal carattere duale.











