Teatro Shakespeare Danzica struttura in ferro delle ali del tetto

Sul mestiere

Testo di Renato Rizzi

n.1 luglio/agosto 2018

Il mestiere dell’architetto è il lavoro collettivo per eccellenza e ha, da sempre, cercato una teoria capace di sostenere 
il proprio fare. Da qualche tempo, ormai, questa ricerca teorica non sembra più necessaria, e neanche possibile da realizzare. Per questo motivo la nostra rivista propone ai lettori, numero 
dopo numero, due punti di vista che si confrontano su temi della nostra disciplina per ricostruire una base di condivisione per questo antico mestiere. 
Iniziamo con la ‘questione del mestiere’ e con Renato Rizzi e Jonathan Sergison che ci raccontano la loro maniera di lavorare per capire meglio lo stato dell’arte del progetto di architettura

Il punto di vista

L’idea che il tempo e la storia procedano nel loro cammino secondo una cronologia lineare, è l’immagine più diffusa e radicata nelle nostre menti. Tale convinzione è però figlia del razionalismo scientifico. Ma la nostra conoscenza ha un’età ben maggiore rispetto a quella della scienza moderna. E se inoltre mettiamo a confronto anche qualche decina di millenni di tutta la nostra cultura, sono un lampo, un nulla, rispetto all’età dell’universo. Questa premessa ha dunque solo uno scopo. Porre una domanda: qual è la nostra consapevolezza nei confronti del sapere che noi crediamo di conoscere? Detto in altro modo. Dov’è o qual è il punto di vista dal quale noi guardiamo il mondo? Quali sono le categorie critiche del nostro pensiero? Del tempo e della storia?

In realtà non dovremmo affannarci troppo per trovare i modi di una possibile risposta. La prima, in assoluto, è già contenuta nel nome della nostra stessa disciplina: architettura. La seconda, altrettanto inevitabile, riguarda proprio noi stessi: l’individualità. La terza riguarda, infine, il progetto.

Architettura
indominabile-dominabile; estetico-estetica

Innanzitutto nel suo nome convergono due ambiti semantici molto diversi, derivanti dalle loro radici greche: archè-téchne. Al di là di ogni etimologia possiamo sintetizzare il loro senso: l’indominabile (archè) sta prima, è a guida del dominabile (téchne). Qui emerge subito una domanda subordinata. Cosa significa l’indominabile a guida del dominabile? Beh, per poter dare una risposta non possiamo altro che riferirci a quanto appena sopra anticipato. Al punto di vista.

Se il nostro sguardo (o il nostro pensiero) è immerso nella cultura contemporanea significa che noi ‘vediamo’ il mondo attraverso il paradigma (il paraocchi) tecnico-scientifico. Vediamo con gli occhiali del razionalismo. Ovvero, la nostra lente intellettuale è posizionata sull’ultimo anellino della catena (equivalente allo sfinimento) della storia e del tempo. La visione tecnico-scientifica non ci mostra altro che le cose del mondo sono tra loro irrelate, isolate. Questo modo di vedere è scandaloso in sé. Lo possiamo paragonare a un occhio tenuto sott’acqua da una catena, dove tutte le cose che vede proiettate sul fondale gli appaiono distorte e deformate, evanescenti e tremolanti come la luce spezzata dalle onde in superficie. Ma questa è la visione dominante del razionalismo. Una visione sotto sforzo, in apnea. Se invece il nostro sguardo (il pensiero) si colloca a una distanza tale da osservare l’unità atemporale e astorica del sapere, significa che ‘vediamo’ il mondo come totalità. Comprendiamo immediatamente (vedi per esempio la filosofia di Emanuele Severino) l’origine del nostro sapere. Tutta la nostra conoscenza dipende da due fattori: dall’apparire del mondo e dalla nostra esistenza. Soffermiamoci per un momento sul primo fattore. L’apparire è la fonte di ogni sapere. Traduciamo: tutto appare. Il visibile come l’invisibile. E se tutto appare tutto è vincolato, in relazione. Ma l’apparire è sinonimo di estetico, l’oggettivo apparire del tutto. Di conseguenza l’estetico è all’origine di tutto il sapere compresa anche la nostra esperienza. Dobbiamo riconoscere alla fine (o meglio all’inizio) che il sapere, nella sua totalità, deriva dall’apparire (estetico), ovvero dall’ambito degli indominabili, dell’inoltrepassabile. Ecco l’insanabile contraddizione epistemica presente nel paradigma tecnico-scientifico. La grave spaccatura semantica (e formale) presente nel nome archi-tettura.

Il binomio indominabile-dominabile acquista pertanto un’ulteriore declinazione. Si differenzia in altri due sostantivi: estetico ed estetica. Del primo, sostantivo maschile, abbiamo appena parlato. Del secondo, ne parliamo ora. L’estetica, sostantivo femminile, ha a che fare con il gusto (il talento, la sensibilità, il timbro) personale. Il termine indica l’interpretazione critico-soggettiva dell’estetico appartenente alla nostra individualità. Da questa considerazione ne consegue che chi opera in archi-tettura è strettamente vincolato dalla duplicità degli ambiti: indominabile-estetico, dominabile-estetica. L’estetica, infatti, possiamo definirla come l’esponente all’infinito dell’estetico. Questa ha una duplice ricaduta semantica sul senso di individualità e di opera.

Individualità arbitrarietà; singolarità

Questo vocabolo neutro riguarda ciascuno di noi. Si biforca anch’esso in due ambiti semantici in analogia con la struttura della parola archi-tettura: arbitrarietà, singolarità. L’arbitrarietà è il confinamento dell’individualità nel dominio tecnico-scientifico. Corrisponde all’autoreferenzialità dell’io. Essa produce il linguaggio architettonico più insulso e diffuso del contemporaneo. La violenza dell’estetica del gusto personale in assenza dell’estetico. La singolarità, all’opposto, è lo sconfinamento dell’individualità nell’indominabile dell’estetico (potremmo usare un altro termine per indicare la coppia indominabile-estetico, il theologico, ma richiederebbe un percorso semantico suo proprio al quale per ora dobbiamo rinunciare). Comunque la singolarità corrisponde all’esponente infinito dell’estetico. A quella percentuale di universale che appartiene non più a ciascuno di noi, bensì a ognuno di noi. Quello che Iosif Brodskij definisce anonimato, e Derek Walcott santità. E che in generale si chiama ‘arte’.

Teatro Shakespeare Danzica struttura in ferro delle ali del tetto
Teatro Shakespeare Danzica pistoni oleodinamici
Teatro Shakespeare Danzica ali in fase di montaggio
Corrimani del Museo Depero a Rovereto
Corrimani del Museo Depero Rovereto