
Sentimento del tempo e architettura
n.6 novembre/dicembre 2019
Su invito della nostra rivista, il maestro napoletano regala ai nostri lettori un breve ma accorato appello a non dimenticare mai la vera essenza dell’architettura.
Un testo poetico e profondo sul nostro lavoro e sul nostro essere. Pubblichiamo anche alcuni dei suoi straordinari disegni e il suo primo progetto di architettura, rimasto fino a oggi inedito
“Non è più possibile scrivere un’egloga di Virgilio o dipingere un quadro di Frans Hals” osservava Giuseppe Ungaretti in un suo scritto. Dobbiamo forse considerare per sempre tramontata la tecnica poetica del secolo di Augusto o la tecnica pittorica del secolo dei borghesi di Amsterdam e di Anversa? Sappiamo bene che non è così. Grandi poeti e grandi ritrattisti si sono succeduti nei secoli successivi. Non di tecnica si trattava, bensì di sentimento del tempo – questo sì irripetibile – che in quelle opere si rifletteva e si riflette. “Ciò che furono gli antichi per qualche secolo siamo stati noi tutti per qualche anno […]” annotava Giacomo Leopardi nello Zibaldone. L’arco temporale della vita di un singolo è assimilabile, secondo il Poeta di Recanati, all’arco temporale della Storia.
Ne consegue che nella vita di un singolo artista – di un singolo uomo – si presenta quella stessa irripetibilità dell’esperienza artistica ed esistenziale che è nella Storia. Egli non potrà mai più realizzare un’opera dell’età giovanile, a dispetto di tanta maggiore esperienza e tanta maggiore abilità tecnica nel frattempo acquisite.
Fallace ogni tentativo.
È saggia la decisione estrema del ‘suicidio artistico’ quando vien meno la capacità di rinnovare profondamente la propria opera ridonandole il perduto sentimento del tempo che ne è l’anima.
Rossini scelse il suicidio artistico all’apice del successo e, a Parigi, si dedicò alla cucina.
Giorgio de Chirico dipinse negli anni Cinquanta per i ricchi collezionisti americani numerose riedizioni delle Piazze d’Italia gettando un’ombra fosca sugli anni luminosi della stagione metafisica.
Lo fece per vanità o per cupidigia?
Non so rispondere. Si rendeva conto, in ogni caso, che i suoi nuovi clienti, non possedendo il sentimento del tempo, non facevano gran differenza fra le pedisseque riedizioni e le edizioni storiche di quelle opere, così come qualche storico americano non ha fatto gran differenza tra le opere di Andrea Palladio e quelle del neo-palladianesimo, progettate e costruite in America agli inizi del XIX secolo.
Vorrei che sul nostro lavoro di architetti parimenti posasse il sentimento del tempo.
Che ci apparisse chiaro che il nostro lavoro è il riflesso della nostra vita, irripetibile come lo sono le sue stagioni. E che, pertanto, ci dessimo pena di trovare sempre una corrispondenza tra il nostro lavoro e il nostro essere, rinunciando alla capitalizzazione dell’esperienza maturata, che si muta in lusinga del successo professionale.








