
Retro-prospettiva
n.5 settembre/ottobre 2019
Prosegue la nostra ricognizione sul progetto contemporaneo di architettura con un serrato confronto tra le riflessioni e le opere dell’architetto austriaco András Pálffy e dell’architetto italiano Walter Angonese, sulla questione della ‘continuità’. Li accomuna la convinzione che fare progetti oggi, vuol dire più che mai fare ricerca. Due maniere di lavorare apparentemente distanti e differenti l’una dall’altra, in realtà molto affini nel cercare quei materiali di varia natura e quei sottili riferimenti per tessere relazioni al di là delle epoche, quelle connessioni fra storia e presente che mettono in moto l’attività di ricerca così specifica e propria alla nostra disciplina, per la grande responsabilità che ha verso la collettività
Durante la nostra attività di allestimento di uno spazio espositivo per documenta X ci fu comunicato tempestivamente dalla direttrice Catherine David il motto che avrebbe caratterizzato la manifestazione, Retrospektive.
Questo titolo per una delle più significative esposizioni di arte contemporanea sembrò a molti anacronistico e fu recepito in modo estremamente controverso, tanto più che non venivano presentate nuove tendenze della produzione artistica, e si proponeva piuttosto uno sguardo d’insieme sulla genesi della produzione artistica in rapporto ai suoi contesti politici ed economici. Per tagliar corto con ogni persistente forma di ottusità nei confronti del suo programma, Catherine David usò una metafora esplicativa scarna ma anche semplificatrice, facendo spiritosamente notare che quando si guida un’automobile è molto importante non solo guardare avanti, ma anche nello specchietto retrovisore.
La prima volta che ci capitò di imbatterci nel concetto di Retrospettiva fu nell’anno 1994 e da allora ci accompagna non solo come titolo provvisorio, ma lo utilizziamo anche volentieri per le lezioni.
L’incontro con il concetto di Retrospettiva di Catherine David risale a un periodo in cui il nostro studio stava sperimentando il suo essenziale orientamento contenutistico. Era una fase in cui ci occupavamo sempre più spesso di edifici espositivi e stavamo già progettando e realizzando i primi contributi su questo tema. Era però anche un momento in cui, soprattutto dal punto di vista dei curatori, si mettevano in dubbio le qualità spaziali degli spazi museali e le relative forme di fruizione.
All’epoca avevamo osservato con particolare interesse lo sviluppo della riconversione di edifici industriali storici in spazi espositivi per l’arte contemporanea e in questo contesto siamo stati in grado di comprendere lo sviluppo di strategie espositive che non solo tematizzavano la critica delle istituzioni ma erano anche determinate dal desiderio di spazi anonimi, proiettati in modo neutro, in cui fossero i contenuti ad assumere un’importanza centrale e non l’involucro. Questa prassi espositiva si giustifica con l’intenzione di ottenere un effetto emotivo immediato, per cui lo spazio è di secondaria importanza e il rapporto tra oggetto e visitatore, e quindi la percezione, diventano l’aspetto essenziale. La discussione intorno a questa dicotomia tra oggettualità architettonica e proiezione di uno spazio neutro in cui l’arte possa sussistere come qualcosa di autonomo, a sé stante e indipendente dal contenitore architettonico, ci accompagna ormai da anni nella progettazione di edifici espositivi.
Naturalmente è possibile sottrarsi a questo contenzioso decidendo ex cathedra per la tesi dell’architettura come valore autonomo, ovvero per la positiva valorizzazione della sua neutralità, e quindi tentare di operare affinché le due cose non si annullino vicendevolmente, ma riescano a concedersi spazio l’un l’altra.
La interrelazione tra oggetto e osservatore si può naturalmente applicare anche al rapporto tra architettura esistente e nuova architettura. Nei nostri progetti questa affinità è stata per lo più presente secondo una duplice valenza, vale a dire come confronto non solo con diversi formati espositivi ma anche, e al tempo stesso, con le architetture preesistenti nel cui ambito essi dovevano integrarsi.
Queste forme di coesistenza, tuttavia, conducono direttamente a una prassi nella quale la considerazione contestuale di un ambiente di progettazione per il lavoro architettonico viene in primo piano. Quanto più, però, con le nostre ricerche ci siamo lasciati coinvolgere nella storia del luogo, tanto più ci si è imposta la consapevolezza che una forma di continuità architettonica poggia sempre su una presenza topografica, o di natura oggettuale, alla quale noi non possiamo né vogliamo in nessun modo sottrarci. E in definitiva ciò vale nella stessa misura sia per le nostre nuove costruzioni sia per il nostro confronto con le architetture esistenti.
Nel nostro studio il lavoro di progettazione sulle architetture storiche, in quanto compito specifico, si è guadagnato negli ultimi anni una presenza sempre più marcata. Il confronto architettonico con una tale impostazione del problema può conformarsi a un approccio di natura pragmatica e orientarsi su opzioni economiche – di tempistica o costruttive – tali da escludere per questi motivi un nuovo edificio.
Ai motivi pragmatici può anche sovrapporsi un aspetto conservativo che regola il possibile rapporto con gli spazi disponibili, limitandolo anche in modo essenziale.
In forza dei vincoli sulla tutela dei monumenti accade che l’architettura assuma di colpo il ruolo di un’opera esposta che, al di là dei suoi necessari contesti spaziali, rappresenta un valore storico-culturale in sé e da conservare in quanto tale.
Nella valutazione di insieme di una compagine architettonica in chiave di tutela dei monumenti ciò viene spesso collocato nella tipologia testuale del ‘documento’. Una lettura attenta e riflessiva di questo tipo di testo è la precondizione per poter riscrivere o riarticolare successivamente le sequenze spaziali.
La formulazione terminologica ‘Weiterbauen’ (continuare a costruire), oggi spesso utilizzata, corrisponde in larga misura a questa esigenza. L’attività del ‘proseguire nella costruzione’ si basa tuttavia pur sempre su una presenza topografica o oggettuale, e dunque anche su un elemento di realtà a cui non possiamo in alcun modo sottrarci.
Il riferimento esplicito all’ambiente diventa in tal modo anche la base essenziale della progettazione architettonica che si inserisce così in strutture spaziali chiaramente definite e acquista il suo vero significato solo all’interno di questo insieme di dati, con tutti i suoi contrasti e le sue resistenze.
In questo modo non è più l’aura di una presenza oggettuale a occupare il centro della percezione, quanto piuttosto il potenziale effettivo di un intervento su un ambiente.
Il risultato di questi sforzi si traduce anche in un’indipendenza e specificità che risulterebbero replicabili solo con rilevanti limitazioni. In tal modo una copia diventa rapidamente una citazione, dalla quale è difficile estrarre e decifrare il significato originario.
La modernità, con il suo chiaro orientamento verso il nuovo – e dunque anche verso una forma radicale del cambiamento – ha sempre più marcatamente trascurato la tradizione del confronto tra contesto e cambiamento. La storia, di conseguenza, registra un tranquillo coesistere dell’intervento contrastante da un lato e, dall’altro, dell’esistente restaurato che, imbalsamato e sigillato, può a buon diritto favorire associazioni con la chirurgia plastica.
Una prassi che segua questa definizione di compiti, tuttavia, si va sempre più cristallizzando come una libertà radicale, aperta non solo alla realizzazione del nuovo ma anche alla prosecuzione dell’antico.
Portare i significati a un chiaro denominatore comune e al tempo stesso essere in grado di dispiegare le loro qualità spaziali è il principio che per noi costituisce il punto di partenza per elaborare soluzioni tipologicamente chiare ma anche altamente specifiche nell’ambito di un determinato contesto.
La precisione nel rapporto tra il contenuto, la forma architettonica e la relativa materialità diventa così per noi il riferimento determinante per le dichiarazioni di principio.
Su questa base il programma, le qualità spaziali e la logica costruttiva si condensano in un linguaggio che può essere implementato in modo coerente anche per compiti del tutto diversi. Il nostro confronto architettonico si sviluppa lungo questa linea, con l’obiettivo di distillare in modo ancora più chiaro l’essenza di contenuti per noi familiari.










