Dettaglio Palazzo Ca’ Giustinian Venezia

Per una cultura del progetto

Testo di Paolo Baratta

n.4 luglio/agosto 2019

La mostra di architettura della Biennale di Venezia, dopo la sua fondazione negli anni Settanta e sotto le amorevoli cure di Paolo Baratta, è diventata la più importante manifestazione al mondo su questa disciplina. Per questo ospitiamo volentieri l’autorevole pensiero del principale artefice di questo straordinario successo sul delicato tema dell’abitare. A risponderci non è solo il presidente della Biennale, ma anche l’economista e l’uomo delle istituzioni, presenti in lui, che ci ammoniscono per l’assenza di architettura, che avvizzisce la società civile, togliendole risorse e abbassandone così il livello di benessere. Investire allora sulla sperimentazione resta l’unica strada da percorrere per sviluppare una nuova consapevolezza della domanda di architettura nella formazione degli individui

Nel secondo atto dell’Oro del Reno si scopre che Wotan, il dio supremo, si è fatto  costruire il nuovo grande palazzo dai giganti promettendo loro come compenso la dea Freia, colei che coltiva i pomi dai quali gli dei traggono vita e giovinezza eterna. Alla consegna di Freia accade che gli dei improvvisamente invecchino e avvizziscano avvolti dalla nebbia. Ecco, tante volte osservando gli sviluppi dei luoghi che gli uomini hanno costruito per sé per vivere, lavorare, esistere, in vario grado ci sentiamo avvizziti, perché ci rendiamo conto di aver pagato un prezzo troppo alto per aver fatto non necessarie rinunce, per non aver controllato in tempo con il pensiero quel che si andava facendo. L’assenza di architettura avvizzisce la società civile, le toglie risorse, abbassa inutilmente il livello del benessere al di sotto di quel che è possibile. Un sacrificio eccessivo e inutile.

La società civile deve avvertire la necessità dell’architettura. 

Con la Biennale si vuole produrre non tanto e non solo conoscenza, ma soprattutto consapevolezza.

Si vuole offrire non solo un luogo di discussione e di confronto tra diverse impostazioni e visioni di ciò che l’architettura sia o sulle diverse vie che essa può percorrere, ma anche un luogo dove il visitatore sia sollecitato e coinvolto nel rendersi conto delle potenzialità dell’architettura, fino a convincerlo una volta di più della sua necessità, fino ad aumentare in lui il desiderio della sua presenza.  

Come economista ho davanti a me la constatazione che l’architettura riguarda la produzione di beni dotati di caratteristiche estreme nel panorama dei prodotti scambiati. Se infatti nei beni di consumo correnti gli errori possono essere rimediati rapidamente e corretti giorno dopo giorno, gli errori compiuti nel realizzare gli spazi della nostra esistenza possono essere definitivi o avere comunque effetti e costi prolungati nel futuro. Ogni atto di produzione di spazio abitabile può avere poi effetti esterni su altre realtà e su prospettive altrui: effetti positivi o negativi, ma anche qui non correggibili facilmente. Infine, nel realizzare i volumi del nostro spazio di vita individuale realizziamo contestualmente gli spazi pubblici della vita comune.

La presenza inevitabile di effetti esterni e su terzi, di effetti durevoli nel tempo, su chi verrà dopo di noi, il fatto che vi sia produzione congiunta di altri beni associati e che si producano beni pubblici, fanno della produzione dello spazio abitabile un fenomeno complesso, per il quale è più difficile ottenere automatica conciliazione tra l’interesse individuale e quello generale. Da qui la rilevanza dell’architettura e della cultura dell’architettura per una società civile che voglia massimizzare i frutti del suo lavoro e minimizzare i costi, soprattutto quelli evitabili.

Il progetto. La civiltà industriale ci ha portato a considerare il progetto come la messa a punto di un dispositivo identificato e funzionante. La moderna civiltà ci insegna che un progetto non può limitarsi all’oggetto e al dispositivo senza essere correlato di elementi e componenti afferenti il contesto e il tempo della sua esistenza. Anche qui non si possono ignorare tutte le colleganze con quello che stiamo progettando e quello che c’è intorno o che potrà esserci: gli altri, l’ambiente, il futuro dello stesso “dispositivo”.  Il progetto in una moderna cultura civile assume le connotazioni di uno “statuto del bene progettato”, una carta che richiami anche le azioni da compiere nel tempo sul bene e sulle connessioni con il contesto. Ma se il progetto deve essere di qualità, per innalzare la qualità dell’offerta è indispensabile sia alta la qualità della domanda e il modo con cui sono formulate le necessità e i vincoli, e quindi ecco di nuovo noi come individui e componenti la società civile che questa domanda dobbiamo esprimere. 

Per riattivare un fertile rapporto tra architettura e società civile occorre che essa sia presente nella formazione degli individui e nella vita delle istituzioni. In tal senso mi pare opportuno sviluppare sperimentazioni. Se gli architetti come categoria vogliono una legge che assicuri loro una zona di rispetto facciano pure, a me come cittadino interessa che vi sia consapevolezza e ‘domanda’ di architettura, perché è la 

inadeguata domanda il vero problema. E poiché solo dagli esempi si possono trarre indicazioni, è necessaria una certa dose di sperimentazione. Per questo penso a strumenti normativi che possano favorire anche a livello locale una dose di sperimentazione, ovviamente in forme tali da non dare origine a facili abusi.

Analogamente mi piacerebbe che progetti di riqualificazione e riurbanizzazione del territorio e del costruito (francamente non mi piace la parola periferia, che oltretutto nell’era digitale assume imprecisi significati) fossero considerati in sede europea tra quelli sui quali sia possibile attivare programmi di sostegno con finanza e normativa speciale, un segno dell’esistenza di una comunità consapevole. 

In tutti questi anni abbiano investito molte energie nella ‘Mostra di Architettura’ proprio in quanto strumento di dialogo con i visitatori, imprimendole una dimensione spaziale e temporale diversa e ben più impegnativa rispetto a eventi pensati per soli addetti. Una mostra, e ciò vale sia per l’arte sia per l’architettura, deve avere l’ambizione di provocare trasformazioni nel pubblico dei suoi visitatori, nella loro consapevolezza. 

È vitale che una mostra presenti casi che offrano esempi di domande ben poste e di risposte possibili. Una mostra è la messa a disposizione del pubblico, per una testimonianza diretta, di esempi nei quali la presenza dell’architettura si riveli e ‘faccia la differenza’ rispetto all’assenza di pensiero.

Se osservate le mostre di architettura della Biennale degli anni passati, tutte, al dunque, avevano al fondo queste preoccupazioni.

La prossima anch’essa affronterà con angolatura diversa il tema dell’abitare come vivere insieme alla luce dei diversi problemi che si pongono oggi e in prospettiva nelle aree più sviluppate del mondo e nelle aree meno dotate. Sarà un’ulteriore chiamata in causa delle nostre sensibilità. 

Il nostro paese sta vivendo un momento delicato per quanto riguarda trasformazioni d’uso degli spazi costruiti, sia per abitazioni sia di natura industriale. Forse la popolazione di domani non sarà uguale a quella per la quale buona parte del patrimonio edilizio delle nostre città è stato costruito. Credo si debbano creare le condizioni legislative e gli opportuni rafforzamenti nella qualità delle amministrazioni, per consentire una maggiore capacità di interventi e una maggiore capacità di far fronte a questioni che vanno affrontate su più vasta scala rispetto alle dimensioni degli interventi edilizi marginali.

In particolare nella vita politica deve tornare a essere presente il futuro. Ci vogliono esempi e la convinzione che per uscire dalle paludi ci vuole coraggio e passione per il progetto.

Il testo è tratto da un’intervista a cura di Nicola Di Battista

Dettaglio Palazzo Ca’ Giustinian Venezia
Ritratto Paolo Baratta
Facciata Palazzo Ca’ Giustinian
Jacopo de’ Barberi, Veduta prospettica di Venezia
Paolo Baratta e Aaron Betsky
Paolo Baratta e Kazuvo Sejima
Paolo Baratta e David Chipperfield
Paolo Baratta e Rem Koolhaas
Paolo Baratta e Alejandro Aravena
Paolo Baratta e Yvonne Farrell e Shelley McNamara
Terrazza Palazzo Ca’ Giustinian Venezia
Marco Moro Palazzo Ca Giustinian
Veduta di Ca’ Giustinian Venezia