
Paesaggio opera aperta
Testo di CZ Studio
n.3 novembre/dicembre 2018
Continuiamo la nostra ricognizione sul progetto occupandoci questa volta dell’architettura del paesaggio che ricopre, oggi, un ruolo fondamentale nel dibattito contemporaneo. Il lavoro di Paolo Ceccon e Laura Zampieri, nonché quello di João Nunes, propongono una riflessione profonda sul concetto di paesaggio, dalla quale deriva una posizione culturale precisa. Nei testi e nei lavori che pubblichiamo il progetto del paesaggio è inteso come una pratica che si fonda su dati certi estrapolati da varie discipline affini e da una realtà in continuo divenire: è dunque un processo costruttivo che nel momento stesso in cui si compie deve contenere, in una visione complessiva, il suo evolversi.
Orientarsi
Se è vero che l’opera è un fare e un farsi, il progetto contemporaneo e la sua proiezione materiale non sono pensabili solo come una procedura per la prefigurazione di un fine. Così l’incipit di ogni nostro progetto prende avvio da una temporanea riduzione semantica delle relazioni che trattengono i dati fisici, i nessi relazionali e gli elementi biologici, per riconquistare, in fieri, la complessità del molteplice, nell’apprendimento e nella specificazione di nuovi rapporti che vengono introdotti o ritrovati. Su tale scacchiera, dove si definiscono temporaneamente gli elementi in gioco e la complessità dei nessi, il progetto riacquisisce forma, che non è mai forma ‘a priori’ e non è mai negazione estetica. Le nostre prime riflessioni, si appoggiano sempre su un’osservazione critica e su una progressiva ‘decolonizzazione’ incrementale. Così facendo, cancellando il sovraccarico e operando sull’infrastrutturazione presente ‘per via di levare’, si riesce a liberare spazio per consegnarlo al tempo. Ciò presuppone l’idea di un’antropizzazione altra, non incrementale e non militare, in grado di saper sfruttare responsabilmente il capitale di cui disponiamo, troppo antropocentrico e poco naturale. Spesso, per descrivere il nostro modo di operare, abbiamo usato l’espressione ‘progettare con la gomma’. Tale attitudine si indirizza a evidenziare quel potenziale iniziale, che è già base di sviluppo, memoria e concrezione del lavoro depositato nel tempo e traccia per selezionare con giudizio ciò che predisponiamo per il futuro.
Agire
Come ricorda Alessandro Baricco, le mutazioni saranno governabili nella misura in cui saremo capaci di scegliere cosa del vecchio mondo vorremo portare nel nuovo mondo, ciò che sarà da conservare e transitare nel nuovo, ciò che riterremo essenziale preservare pur nell’incertezza delle condizioni future, quali radici non vorremo spezzare, quali parole e quali idee non saremo disposti a perdere. E tutto questo lavoro sarà complesso, perché dovremo svolgerlo mettendo in salvo tutto ciò nella mutazione, non dalla mutazione. Il confronto con le presenti condizioni di vita, sia pure nella attuale e ambigua distinzione di due termini usurati, quali globale e locale, è inevitabile per riformulare obiettivi e strategie del progetto, come possibile proiezione di un qualche presente per consentire un futuro. Ogni azione antropica presente, passata e futura, porta ancora con sé condizioni divergenti e ineludibili: l’esigenza dell’uomo di trasformare territori per i propri temporanei bisogni e il dovere di prendersene cura conservando l’integrità degli ecosistemi. Due condizioni che obbligano a interrogarsi su quali siano, oggi, quelle azioni efficaci a transitare un cambiamento, consapevole della memoria dei luoghi, in grado di conservare le caratteristiche di un ambiente che possa continuare a essere adatto a ospitare la vita.
Cambiare
Nella pratica progettuale che svolgiamo dai primi anni Novanta, ci siamo sempre trovati a confrontarci con condizionamenti, spesso istituzionalizzati, che di fatto vorrebbero escludere le deviazioni dalla norma, inibendo o scartando la possibilità di considerare intrinseca al progetto un’evoluzione naturale, arbitraria e libera. Ed è proprio da tale condizione di negazione del ‘naturale’, dalla nostra stessa vita ‘in primis’, che tuttora il progetto, e in particolare il progetto ‘con la natura’, paga le contraddizioni dell’azione antropica contemporanea, dialetticamente esitante tra incosciente depauperamento delle risorse e responsabile manutenzione, tra distruzione creatrice e cura, tra trasformazione e conservazione, tra difesa della nicchia antropica ed esclusivo e prezioso valore ecologico. Tale passaggio ha inoltre determinato una scissione tra le ragioni della tutela e quelle dello sviluppo che, nel contemporaneo, si sono rese esplicite nell’espressione del conflitto, non ancora risolto, tra paesaggio e ambiente. Il paesaggio contemporaneo, e il suo progetto, ormai orfano di una progettualità che lo sappia realmente collocare tra ‘storia e natura’, ossia in una prospettiva culturale capace di mettere in relazione memoria, obsolescenza e rigenerazione, langue di fatto tra assenza di progetto o eccesso di progetto. Così formulato, esso certamente non aiuta la costruzione di ‘una nuova alleanza uomo-ambiente’ , alimentando ancora l’aporia sottesa alla trasformazione culturale che ha delineato la contrapposizione delle coppie uomo-ambiente e paesaggio-natura. Tale passaggio storico-culturale, ha autorizzato a confondere i termini ‘natura’ e ‘paesaggio’, verso un progressivo e intensivo uso dell’ultimo, ormai depauperato della capacità auto-rigenerativa della natura. La transitività della condizione di natura non trova pertanto più riscontro nell’attuale temporaneità tecnologica, che per suo statuto non conserva, ma procede in un continuo e programmato passaggio da prodotto a scarto. Poiché ogni azione umana si svolge entro la biosfera, nel progetto di paesaggio appare fondamentale saper coniugare due atteggiamenti fino a oggi contrapposti: come trasformare consapevolmente la forma del mondo e come essere cambiati dalla condizione di natura.
Adattarsi
Oggi non è più pensabile procedere a invadere spazi: occorre arretrare e diminuire la pressione antropica per ridurre il progressivo indebitamento contratto nei confronti dell’ambiente e della natura. Al contempo dobbiamo preoccuparci di incrementare la qualità dello spazio e migliorare le umane condizioni di salute e di comfort. Il progetto che agisce nelle trame della dimensione fisica dello spazio si colloca nelle temporalità di esso, à la recherche, riverbera aspetti di cura e conservazione e per questo orienta opportunamente la propria attenzione verso quei caratteri non ricorsivi della realtà percepita (spesso portatori di contenuti innovativi, e di mutazione) quali fattori di scarto progettuale. Tale disposizione intellettuale è propria di una tensione culturale alla quale, con ormai sempre maggiore difficoltà, possono corrispondere gli stereotipi procedurali di un pensiero iconico e resistente che esclude l’osservazione dal suo strumentario operativo. Ci piace pensare che i nostri progetti sappiano lavorare sulle diverse dimensioni del paesaggio per far percepire passato e futuro in un nuovo dispositivo istantaneo, che sa esprimersi e agisce direttamente su ciò che è: hic et nunc.





