Libreria, rosa

Ombre d’azur, transparence

Testo di Nicola Di Battista

n.6 novembre/dicembre 2019

Ettore Spalletti è sicuramente uno dei più importanti artisti del nostro tempo e il suo lavoro universalmente riconosciuto. Ombre d’azur, transparence è la grande mostra sul lavoro del maestro da poco scomparso, tenutasi a Villa Paloma, sede del NMNM, Nouveau Musée National de Monaco.
Lo ricordiamo a partire dal titolo di architetto conferitogli honoris causa dall’Università degli Studi di Pescara

Oggi, sul livello del mare dell’Adriatico, siamo qui a verificare una vera e propria eruzione culturale: l’arte e l’architettura, che si incontrano di nuovo e lo fanno al più alto livello immaginabile. Queste due pratiche dell’uomo per lungo tempo hanno viaggiato insieme, poi da un certo punto in avanti si sono separate e ognuna di esse, da sola, ha cercato di sopravvivere. Qualche artista e qualche architetto, a dire il vero pochi, sono riusciti comunque con i loro lavori a esprimere il massimo delle loro capacità e si sono salvati, ma tutti gli altri hanno perso, e in questa maniera, in realtà, tutti noi abbiamo perso con loro. Uno di quelli che è riuscito a ricucire la cesura tra arte e architettura e che con il suo lavoro ha salvato tanti altri – quelli che hanno avuto la fortuna di avvicinarlo, di conoscerlo, di viverlo, di vederlo, di toccarlo – è sicuramente Ettore Spalletti e per questo oggi gli rendiamo omaggio. Un artista, tra i pochi, che conosce bene la differenza tra arte e architettura, e proprio per questo, più di altri, ha sofferto profondamente questa separazione, ben sapendo che tutto ciò sarebbe risultato fatale a entrambe le arti.
Dall’inizio della sua carriera fino a oggi non ha mai smesso di pensare la sua arte e i suoi lavori dentro uno spazio architettonico, non li ha mai visti come oggetti. I suoi quadri e le sue sculture non si esauriscono mai in sé, ma hanno bisogno di un luogo, di uno spazio, di un contesto adeguati al loro essere, al loro poter essere in uno spazio abitabile da conformare artisticamente e poeticamente.
L’ambizione e l’aspirazione dei suoi lavori sono squisitamente architettoniche nel voler conformare spazi, ma restano profondamente artistiche nel volerlo fare solo artisticamente. Nessuno sconfinamento: l’architetto resta architetto e l’artista resta artista. Oggi, in un mondo in cui intorno a noi tutto sembra diventare inutilmente complesso, dove la maggior parte degli uomini si adopera, in modo frenetico, a capovolgere la realtà delle cose in modo da rendere ciò che è profondo superficiale, l’aspirazione alla semplicità – espressa dall’opera di Ettore Spalletti – unita al suo lavorare in silenzio e con umiltà, cerca invece di avvicinarsi alla bellezza, che diventa perciò un valore assoluto, un valore da riconoscere e da difendere. A tal proposito ci piace ricordare le parole dette dal filosofo José Ortega y Gasset a Darmstadt nel 1952, all’interno di un convegno di architetti.
Dice Ortega, comparando le figure dell’artista e dell’architetto e riferendosi allo stile: “Lo stile, gioca nell’architettura un ruolo particolarissimo che nelle altre arti non ha, anche se sono arti più pure. La cosa è paradossale ma è così. Nelle altre arti lo stile dipende semplicemente dall’artista: egli decide per sé e davanti a sé. Il suo stile non deve né può dipendere da nessun altro se non da se stesso. Ma nell’architettura questo non accade. Se un architetto fa un progetto che possiede un meraviglioso stile personale, non è in senso stretto un buon architetto”.
Ecco, possiamo affermare con certezza che la vocazione allo spazio, nell’opera di Ettore Spalletti, è e resta squisitamente artistica. Ora, in questo giorno così particolare vorrei proporre alla vostra attenzione alcune riflessioni sul significato disciplinare e civile del conferimento della Laurea Magistrale in Architettura a Ettore Spalletti da parte dell’Università Gabriele D’Annunzio di Pescara.
Per farlo permettetemi una breve digressione sul nostro tempo, sul tempo che viviamo. La nostra società, rispetto al passato è la prima a essere completamente globalizzata: che lo vogliamo o no, è questa, oggi, la nostra principale condizione su questa terra. Siamo globali perché ormai tutto è a portata di mano, ma ci stiamo accorgendo a nostre spese che l’ordine di misura di questa condizione non ci appartiene, capiamo finalmente che la globalità è una condizione, non un valore.
Per questo, adesso, il vero cambiamento sta nel dare valore a questa nuova condizione, consapevoli che il nostro essere globali è subordinato al nostro essere in sé.
Da questo punto di vista, non possiamo non riconoscere che la nostra condizione di uomini ci permette di essere tali solo in un luogo, in un contesto, in una comunità. Adesso lo sappiamo. Solo questa appartenenza sarà capace di trasformare l’unicità di ognuno di noi in qualcosa di collettivo, l’opera del singolo in un’opera che, una volta fissata, non apparterrà più solo a chi l’ha espressa ma a tutti.
È questa l’aspirazione che Ettore con la sua opera ha sempre coltivato: un’aspirazione che a ben vedere è una sua profonda necessità, andando per un attimo oltre la sua biografia, vissuta sempre e ostinatamente in questi luoghi dell’Abruzzo, ben limitati e circoscritti, e vista dai più come un vezzo, come una eccentricità dell’artista.
Ettore appartiene a questi luoghi non solo perché ci è nato, ma perché ha cercato fin dalla giovane età di comprendere questa appartenenza; ha avuto subito chiaro che essa non poteva in nessun caso essere per lui solo un dato di fatto, ma al contrario qualcosa che doveva rinegoziare e questo ha fatto, giorno dopo giorno, con ostinazione e perseveranza.
Di proposito usiamo qui la parola ‘negozio’, perché di ciò si tratta. Quindi, non per vezzo artistico ma per intima necessità, ha compreso in fretta che essere nato in questi luoghi non era per lui sufficiente per comprenderli, per capirli fino in fondo: per appartenere a essi, Ettore ha avuto bisogno di compiere un lavoro, e lo ha fatto senza fretta, con costanza.
Un lavoro che per essere realizzato ha avuto bisogno di tempi lunghi, mosso dal desiderio di spingere lo sguardo verso luoghi poco visibili e per questo inesplorati, per vedere quello che altri riuscivano solo a guardare ma non a comprendere.
Solo in questa maniera Ettore ha avuto il privilegio di appartenere profondamente a questi luoghi, luoghi che per ricompensa del suo lavoro gli hanno donato, in premio, la possibilità di vedere cose diverse dal visibile ordinario.
A sua volta, queste stesse cose viste da Ettore, lui non le ha tenute per sé, ma con generosità le ha trasfigurate in opere d’arte e ce ne fa dono.
Per questo Ettore appartiene all’Abruzzo, come l’Abruzzo appartiene a Ettore, e anche per questo la sua opera squisitamente locale è così straordinariamente internazionale.
L’auspicio è che tutto questo sia l’inizio di una nuova e importante stagione culturale capace di rimettere insieme quello che per troppo tempo è stato separato, e mi rende felice pensare che possa partire proprio qui da Pescara, sotto l’occhio attento e vigile del neo-dottore in architettura Ettore Spalletti. 

Crediti
Ettore Spalletti Ombre d’azur, transparence
Curatore
Cristiano Raimondi
Coordinamento generale
Azzurra Ricci – Studio Spalletti Emmanuelle Capra, team del NMNM
Catalogo
Mousse Publishing – Contrappunto s.r.l. Milano NMNM-Nouveau Musée National de Monaco
Date
18.04.2019 – 03.11.2019
Sede
NMNM – Nouveau Musée National de Monaco Villa Paloma, Principato di Monaco
Credits Photo
© NMNM/Werner J. Hannappel, VG-Bildkunst Bonn 2019
Libreria, rosa
Le opere Orizzonte dorato, 2011 e L’una per l’altro, 2018
Villa Paloma
Così com’è, fonte, 2006
Grigio verso l’azzurro, paesaggio, 2018
Vado di sole, 2018
Arredo, 2017
Tre dei numerosi stendardi di grandi dimensioni allestiti nell’atrio della scuola in occasione della cerimonia
Ritratto di Ettore Spalletti