Appartamento via Mascagni Milano

Lo spirito del progetto italiano di interni

Testo di Manolo De Giorgi

n.3 novembre/dicembre 2018

La cultura italiana degli interni, descritta con mirabile precisione da Manolo De Giorgi in questo testo, ha creato nel nostro Paese una vera e propria maniera di abitare. Per questa ragione l’architettura degli interni – come disciplina strettamente legata al nostro ‘saper fare’– rappresenta oggi uno dei principali temi del progetto contemporaneo a cui guardare.

Cosa nostra
Quanto segue è legato all’idea che si sia prodotto un fatto ancora non troppo indagato dalla cultura architettonica italiana, uno spostamento che dalla grande elaborazione secolare dello spazio pubblico delle nostre città si è trasferito nel dopoguerra su di una elaborazione del tutto autonoma e originale dello spazio privato interno. È un tema che tocca indifferentemente sia l’architettura italiana sia il suo design e che ha il punto di snodo nel capitolo dell’architettura degli interni che via via in Italia si carica di una connotazione affatto ‘specifica’ rispetto al resto dell’Europa, aprendo sorprendentemente al Moderno dei decenni che verranno. La cultura italiana degli interni nella prima metà del secolo scorso si muove in linea con quanto viene direttamente dal Movimento moderno e l’interno è una conseguenza letterale di tutti i dettami riduzionisti e meccanicistici del Razionalismo. L’alloggio impostato sull’unità minima della famiglia non ha altre sfaccettature se non la traduzione in una miniaturizzazione della stessa architettura. Poi al giro di boa del 1945 la cultura italiana prende accanto agli strascichi di questa eredità tutta funzionalista anche una sua via personale. Questa via è insita nelle cose come argomento quasi di pronto intervento, e deriva dallo smisurato patrimonio edilizio da rifunzionalizzare in seguito alla guerra, un enorme stock di qualità dove la tipologia del palazzo privato e dei grandi contenitori con le loro metrature sovrabbondanti (già risultate sovrabbondanti da qualche decennio) ben si adattano a una riconversione per un uso pubblico. L’Italia si trova così con largo anticipo su altri paesi a voler fare i conti con la sua eredità storica. Nel momento in cui tutti i Ciam (Congressi internazionali di architettura moderna) del dopoguerra si concentrano sul cuore della città contemporanea, sulla città diffusa, sulla densità urbana, sul rapporto col paesaggio, questo argomento della convivenza e della rilettura del patrimonio storico non è certo all’ordine del giorno e ha quasi un carattere regressivo. Nel frattempo però un gruppo di progettisti con un armamentario relativamente semplice, con programmi statali centellinati anno dopo anno si trova a misurarsi con il tema pubblico della ristrutturazione di spazi per lo più ex-privati in musei dove le scelte su cosa tenere, cosa buttare e fino a dove modificare sbattono in primo piano l’interpretazione del corpo stesso dell’architettura nel gioco dialettico tra arcaico, antico e nuovo. Questa eredità del travasare spazio pubblico nel privato e viceversa rimarrà un marchio indelebile del nostro progettare in interni. La cultura italiana assimila così in senso genetico l’idea della stratificazione degli interventi proprio quando l’ideologia del Moderno ne predicava senza mezzi termini la tabula rasa. Il risultato è che in questo passaggio l’Italia riesce a traghettare la cultura dell’abitare da un passato prossimo a un futuro immediato senza grossi salti e bypassando con una certa arguzia il tema dell’alloggio, frutto nel nostro paese di una scarsa politica di programmazione su vasta scala, restituendo a modo suo un tratto di Moderno. È questo primato dell’interpretazione portato nella sfera dello spazio privato il punto in cui, per settant’anni, l’Italia è stata in grado di dire cose importanti. Questo ha consentito di attraversare l’architettura antica, primitiva, medievale, barocca, neoclassica senza falsi mimetismi per poi imbattersi nella sana edilizia degli anni Cinquanta/Sessanta, in quella enfatica e volumetricamente brutale degli anni Settanta, in quella magniloquente e neomonumentale degli anni Ottanta tenendosi sempre a debita distanza nei suoi interni dalla création decorativa francese, dal cosy anglosassone, dal gemütlich di area germanica.

Una scala intermedia
Lo spirito del progetto italiano di interni: né sovrapporsi, né mimetizzare, ma dialogare in una contrattazione che deve arrivare a definire chiaramente un territorio con le sue linee di confine tra la comparsa del nuovo e la sopravvivenza dell’esistente. Due termini francamente esposti, quindi. Il preesistente dà la regola all’interno che da questo codice trarrà tutti i margini possibili per essere interpretato. Il progetto italiano degli interni si muove con Albini, Scarpa, BBPR, Viganò in modo cristallino tra la Norma e lo Scarto, tra il codice esistente da riconoscere e il messaggio nuovo, frutto dell’interpretazione. Il progetto è ciò che ‘sorprende’ il codice senza negarlo o azzerarlo ma ri-attualizzandolo. Di fronte a un contesto preesistente, nel momento di intervenire tra la scatola muraria e l’arredo c’è bisogno di un’opera di delicata intermediazione che si gioca attraverso l’arredo fisso o se vogliamo attraverso i temi di una micro-architettura pensata tutta attorno alla scala dell’1:20. Qui si verificano sotto la lente di ingrandimento tutti i rapporti tra spazio, oggetto e uso. Se a Bardolino, in casa Ottolenghi, Carlo Scarpa non avesse pensato a quell’agglomerazione muraria che regola la zona giorno segnando verticalmente un camino a uso bi-frontale e orizzontalmente una libreria che nasconde a mezza altezza un corridoio e che incorpora due quote di livello diverse del terreno, nella casa si sarebbe prodotto uno stacco netto tra lo spazio architettonico complesso della scatola e un arredo impossibilitato a regolare con i propri mezzi tutta quella profondità e ricchezza spaziale. Se a Milano, in casa Viganò, lo stesso Vittoriano Viganò non avesse deciso di far calare dall’alto un volume nero a poco più di due metri dall’uscita dall’ascensore, arrestandosi a 50 cm da terra, con funzioni di camino, e creando così un’anticamera spuria, il soggiorno/pranzo si sarebbe manifestato tutto d’un colpo all’apertura della porta di ingresso e con un eccesso di metratura. In questo stesso spazio del living, Viganò istallando una sub-struttura impostata sul tubolare metallico a sezione quadra verniciato nero avverte la necessità di tenere in una griglia le sedute dei divani, le poltrone, le sedie del tavolo principale da pranzo, dei tavolinetti di servizio, fino ai portacenere, che altrimenti si sarebbero disseminati e semplicemente dispersi in una sinfonia del gusto. Un ricorso ad un elemento da ‘arredo fisso’. Le tipologie tradizionali del mobile sono in grado di assecondare la stanza nei suoi tratti canonici (che però quasi mai si danno), mentre invece è l’arredo fisso a sottolinearne tutti gli accidenti, tutte le eccezioni, tutte le irregolarità derivate dall’uso (che quasi sempre si danno). Questi elementi fuori-tipologia concettualmente e fisicamente stanno più dalla parte del muro che non da quella dell’arredo, anche se per il grado di dettaglio che esigono sembrano appartenere a questa categoria. È questo l’approccio italiano più nuovo, che dimostra come l’interno necessiti di una frammentazione di tanti sotto-temi quanti sono quelli legati alla complessità della cultura dell’abitare. Non si tratta quindi di liquidare l’interno come una questione di sommatoria di dettagli, ma come il capitolo più ‘materiale’ dell’architettura grazie al quale essa si avvicina a noi fino a toccare i nostri comportamenti.

In proiezione
Oltre alle centinaia di studenti che affollano le nostre università chiedendo corsi sull’architettura italiana degli interni, qualcuno si è accorto che questo è un argomento? 
La sensibilità delle soprintendenze per il tema degli interni del XX secolo è ancora tutta da venire. 
La totale indifferenza (leggasi ignoranza) sul tema dell’interno diventa macroscopica quando poi si tratta di interni privati. La disinvolta smobilitazione con cui si è operato in casa Cesare e Ada Minola (1944) di Carlo Mollino a Torino, vendendone progressivamente prima i mobili poi gli arredi fissi, così come recentemente (marzo 2018) lo smantellamento dell’intero appartamento Lucano (1952) di Giò Ponti a Milano un saggio altamente significativo di come risolvere interamente attraverso un concetto estremo di decorazione un interno abitativo, sono segnali della completa arretratezza sull’argomento.
C’è una totale sperequazione fra la tutela del patrimonio archeologico che ha in Italia regole più rigide rispetto al resto d’Europa e la leggerezza con cui si tutela la nostra cultura abitativa del XX secolo. Dal punto di vista della cultura materiale, un’anfora etrusca o un bucchero non sono l’equivalente di un camino di Mollino subdolamente esportato in Usa? O forse in termini artistici il XX secolo non ha prodotto abbastanza per la cultura delle soprintendenze? L’architettura degli interni è la più vicina alla nostra cultura materiale e la sua logica endoscopica con le sue discese di scala ci portano a contatto con l’artigianalità delle cose. E questo non è un tema dell’oggi?  L’architettura è ferma e si trastulla in un ozioso dibattito tra pelle e rivestimento, l’arredo è preda del contract che ne segna la globalizzazione sul medio-alto livello qualitativo, toccando livelli tanto formalmente accattivanti quanto disimpegnati. Rimane l’interno, la cui tenzone con la scatola preesistente non è mai indifferente. Per affrontarla bisogna sempre apprestarsi al just in time, al tema del ‘su misura’, alla sperimentazione che solo l’artigianato può affrontare per regalare poi indirettamente alla cultura edilizia e su altra scala il capitolo del componente di cui l’architettura avrebbe bisogno per rigenerarsi.

Appartamento via Mascagni Milano
Enfilade via Mascagni Milano
Corridoio viale Bianca Maria Milano
Scenografia Mani grandi senza fine
Scenografia Mani grandi senza fine
Schizzi Entrando in casa
Scala marmo via Senato Milano
Bagno viale Bianca Maria Milano
Soffitto via Scheiwiller a Milano
Mobile mensola viale Majno Milano
Bagno destrutturato via Senato Milano