Siena veduta aerea

Le cento città d’Italia: Siena

Testo di Pier Luigi Sacco

n.1 luglio/agosto 2018

Le straordinarie città italiane sono prese a esempio per il loro passato e per le loro bellezze storico-artistiche di grande valore. La nostra rivista vuole raccontare invece la possibilità che hanno oggi di guardare al loro futuro. Nel caso di Siena è proprio la consapevolezza dell’eccezionalità della sua storia a rendere questa narrazione collettiva, proveniente dal passato, la lente attraverso la quale la città deve guardare al proprio futuro.

Nell’Italia di oggi, spesso tristemente assuefatta a una visione auto-celebrativa, oleografica e rassicurante del patrimonio culturale, Siena salta all’occhio per la sua particolarità. È senza dubbio una delle nostre più riconosciute e celebrate città d’arte, e attrae ogni anno flussi notevoli di turismo culturale nazionale e soprattutto internazionale. E tuttavia, è una città che presenta una sua forma di ‘alterità’ rispetto al senso comune di ciò che il patrimonio culturale è e dovrebbe rappresentare, e ciò si deve soprattutto alla relazione profonda e viscerale che la città, e in primis la comunità che la abita, vive con il suo patrimonio, sia quello tangibile che quello intangibile.

La dimensione forse più evidente della peculiarità di questo rapporto si riscontra nello spazio pubblico, che a Siena è fortemente collegato a un senso di responsabilità condivisa: anche danni materiali che altrove sarebbero probabilmente giudicati trascurabili, che siano dovuti a incidenti o a comportamenti noncuranti o vandalici, attirano facilmente l’attenzione collettiva, diventano oggetto di discussione, sollecitano una risposta immediata ed efficace. I senesi, del resto, vivono il loro spazio pubblico in modo intenso e conviviale: l’esperienza di mangiare assieme a centinaia di altre persone dalle tavole imbandite per le vie della Contrada, una vera e propria pratica quotidiana nel periodo estivo nel quale la vita pubblica senese raggiunge il suo acme, permette anche al non senese che si trova spesso a essere colto di sorpresa dalla naturalezza e dall’intensità di questo modo di stare assieme, di provare per qualche istante un senso di appartenenza di cui si scoprirà ad avere nostalgia nel tempo a venire. 

Il rapporto di Siena con il suo patrimonio è allo stesso tempo molto presente e molto consapevole della complessità storica che lo ha prodotto. Ed è un rapporto che si affida alla narrazione collettiva. Non è infrequente trovarsi a conversare per le vie del centro storico, soprattutto a certi angoli, con un senese di una certa età e trovarsi improvvisamente coinvolti in un racconto appassionante in cui ogni singolo frammento dello spazio urbano visibile si carica di storie e di intrecci di vite e di destini, alcuni molto lontani nel tempo e altri magari vicinissimi o contemporanei, ma chiaramente accomunati dall’appartenere a uno stesso flusso indistinguibile, quello di una memoria storica in gran parte vissuta e trasmessa come collettiva, che si materializza in una sorprendente capacità di lettura, di evocazione, di condivisione che oscilla armoniosamente tra il patrimonio che si vede e si tocca e quello che esiste solo nella memoria della comunità che lo custodisce. L’associazionismo che si occupa di presidiare quotidianamente dimensioni importanti e spesso non ben conosciute e apprezzate del patrimonio senese come i bottini (la straordinaria rete sotterranea degli acquedotti storici della città) o le mura stesse della città è una testimonianza evidente e concreta di come l’idea stessa di cittadinanza e di società civile si traduca a Siena in una relazione attiva con il patrimonio. 

Ma questa simbiosi profonda tra una comunità e il suo patrimonio è tutt’altro che semplice da comprendere, e in ultima analisi da accettare, per chi non si trova a viverla quotidianamente. 

Siena è notoriamente una città difficile, che non facilita l’approccio, e che presenta una tendenza connaturata e fortissima a chiudersi a riccio non appena si manifestino segnali esterni di incomprensione o di polemica. Non è infatti un caso che Siena sia un bersaglio particolarmente sensibile e ricorrente dell’opinione pubblica italiana, che tende in alcuni momenti a vivere la sua diversità con sospetto e a volte quasi con dispetto. L’orgogliosa autosufficienza di Siena, oggi messa a dura prova dalle fin troppo note vicende del Monte dei Paschi, diventa per molti una forma di alterigia, e la puntigliosa attenzione con cui Siena e i senesi difendono l’autenticità del loro rapporto con il proprio patrimonio appare a volte astrusa e incomprensibile. La natura di questa difficoltà, tuttavia, consegue proprio dall’eccezionalità della condizione senese, che marca una profonda differenza rispetto a tante altre situazioni in cui il patrimonio viene conservato, a volte splendidamente, ma non più pienamente vissuto. Poche cose infastidiscono i senesi come la coazione del turista a voler semplificare e leggere attraverso le proprie categorie e le proprie aspettative la complessità della cultura che si trova di fronte: una operazione che viene continuamente messa in atto nei rituali del turismo di massa, che trasforma il luogo in misura e in funzione dei tempi, degli spazi di attenzione e dei gusti del turista, ma a cui Siena cerca tenacemente di resistere, soprattutto nelle occasioni e nei luoghi più carichi di significato e valore dal punto di vista comunitario. E a questa apparente ‘durezza’ noi non siamo più abituati, perché ci aspettiamo che le logiche dello sviluppo economico locale finiscano sempre per piegare ogni specificità locale a una formula di marketing, e quindi in ultima analisi per ‘addomesticare’ ogni spuntone di diversità culturale che non si presti a essere facilmente digerito e apprezzato, che non si assoggetti a una estetica della sorpresa e della meraviglia che offre conferme e rassicurazione piuttosto che occasioni di dissonanza cognitiva, di smarrimento, di sconcerto.

Se davvero volessimo provare a rifondare un rapporto più radicale e più autentico con il nostro patrimonio, dovremmo imparare dalla ‘difficoltà’ di Siena molto più di quanto non facciamo. Ciò ci permetterebbe di vivere sulla nostra pelle quanto sia concretamente complesso conciliare l’esigenza della conservazione del patrimonio e della tradizione con l’inevitabile spinta a innovare e a rispondere al mutamento sociale e culturale. E quanto sia appagante ma allo stesso tempo anche sfidante vivere ‘dentro’ la storia e sentire la responsabilità di appartenere a un flusso di vite, di storie e di scelte che attraversa le generazioni. L’esperienza della candidatura di Siena a Capitale Europea della Cultura 2019, all’interno di una serrata competizione in cui si sono messe in gioco molte città italiane e che come è noto si è conclusa con la scelta di Matera, è stata, tra le tante cose, anche un esperimento per confrontarsi con il dilemma conservazione/innovazione da un punto di vista insolito. Il percorso ideativo e immaginativo che il processo di candidatura richiedeva ha comunque lasciato un segno, anche se la delusione del mancato riconoscimento ha nell’immediato portato ancora una volta la città a richiudersi su sé stessa ed è a propria volta diventato un episodio tra i tanti nel doloroso percorso di decostruzione del sistema di welfare diffuso associato al rapporto plurisecolare con il Monte. Ma i frammenti di quell’esperienza continuano a riaffiorare nei modi e nei contesti più inaspettati, e spingono a meditare sull’enorme potenziale trans-formativo che la cultura può ancora avere sulle nostre città. Nella sua peculiare forma di lucida follia, Siena ha sempre messo al centro, come recita il Costituto del 1309, ‘massimamente la bellezza della città, per cagione di diletto e allegrezza ai forestieri, per onore, prosperità e accrescimento della città e dei cittadini’. E quindi oggi ancora una volta, di fronte a un futuro incerto e denso di interrogativi per la necessità di immaginare un nuovo modello di sviluppo locale non più appoggiato sulla rassicurante certezza finanziaria del passato anche recente, Siena si presenta come una città-laboratorio di un possibile sviluppo culturale che non segua meccanicamente ed esclusivamente la strada battuta della valorizzazione turistica ma sappia inserire quest’ultima in un discorso più ampio e complesso, in gran parte ancora da elaborare. Siena ce la può fare proprio in virtù del suo rapporto privilegiato con il patrimonio, che si innesta nel contesto di una città che è in grado di esprimere allo stesso tempo eccellenze importanti nella formazione universitaria e nella ricerca, nelle filiere dell’industria del gusto, nel campo della salute e del benessere, nell’applicazione di tecnologie di avanguardia per la gestione dell’ecosistema urbano e per la promozione della qualità della vita.

Non è un caso che questa città dall’aspetto così caratterizzato storicamente sia anche stata, fin dall’inizio del ciclo dell’innovazione digitale, alla frontiera della sperimentazione, divenendo la prima città italiana a essere a suo tempo cablata. Siena è una città capace di cambi di passo imprevedibili quando raccoglie le sue energie per investirle in una progettualità condivisa. È una città sicuramente affaticata dalle controversie economiche e politiche degli ultimi anni, ma è anche una città capace di ricaricarsi attraverso il flusso ciclico della sua ritualità collettiva – ovvero, ancora una volta, attraverso il proprio patrimonio vissuto e incarnato. Nell’Anno Europeo del Patrimonio Culturale che si è aperto a Milano, nel Forum Europeo della Cultura del dicembre 2017, il ciclo degli affreschi di Ambrogio Lorenzetti, i celeberrimi Effetti del Buon Governo in città ed Effetti del Cattivo Governo, sono stati lungamente evocati come momento fondazionale della cultura e della civiltà europea. Questa città, malgrado la sua apparente e a volte perseguita marginalità geografica, è ancora al centro di molti pensieri, di molte idee, di molti percorsi di futuro possibile – un fatto ancora più stupefacente se si pensa alla sua piccola dimensione, che da un punto di vista puramente demografico dovrebbe relegarla nel difficile limbo dei capoluoghi italiani ‘minori’. Non è così. Siena è, sempre e comunque, una storia ‘a parte’, una scommessa continua giocata sul filo dell’improbabilità. E la sua forza è, appunto, il suo patrimonio – non in quanto fonte di grandi economie, o meglio non primariamente in questo senso. Ma in quanto ‘centro di gravità permanente’ di una comunità.

Ed è per questo che Siena può stupirci ancora una volta. E ancora una volta lo farà.

Siena veduta aerea
Buon governo Lorenzetti
Piazza del campo veduta aerea