
Le cento città d’italia: Parma
Testo di Dario Costi
n.2 settembre/ottobre 2018
Percorrere le vie di Parma significa attraversare il palinsesto della Storia. Al castrum originario si affianca nel Medioevo la cittadella episcopale; la via Æmilia che precede di pochi anni la fondazione della città, le insulae ritagliate dalle parallele del cardo e del decumano che la costituiscono e il foro che ne intacca la geometria, si confrontano dialetticamente con il Vescovado, il Duomo, il Battistero. Ritrovando il senso di comunità definito da questo patrimonio comune, Parma potrà tornare a essere una capitale europea.
Guardare da lontano Parma attraverso il satellite, come osservarla da sotto percorrendone vie e piazze, significa poter ancora cogliere le differenze delle parti di città che si sono succedute una a fianco all’altra nella costruzione articolata del nucleo storico.
Ricerca di distanza e logica del contrappunto sono gli atteggiamenti di sfida e di confronto che sembrano aver guidato questi interventi ancora chiaramente intellegibili, attivando tensioni talmente forti da segnare il carattere delle architetture realizzate.
Così si riconoscono ancora le discontinuità delle trame e gli innesti di nuclei monumentali che si pongono in rapporto dialettico con la città trovata, catalizzano grumi di tessuti e definiscono l’ampiezza delle mura che li raccolgono. Saltando attraverso i secoli possiamo allora osservare ognuna di queste parti e ricostruire, spostando gli occhi sulla vista zenitale o camminando lungo gli isolati, una traiettoria del tempo che lega i momenti storici cruciali ad alcune architetture eccezionali, monumenti riconosciuti che si giustappongono tra loro e divengono nel loro insieme i riferimenti simbolici dell’immaginario dei parmigiani, i capisaldi condivisi della loro identità collettiva e l’immagine della fama di Parma a livello globale.
Se ci pensiamo bene possiamo infatti cavalcare le ‘onde lunghe della Storia’ mentre passeggiamo per la città e notare che alcuni fatti urbani emergono tra gli altri, segnano discontinuità cercate e rimangono a ricordare i passaggi in cui la città è stata, in vario modo, parte di un sistema di relazioni (ambite e attuate) su scala continentale, sostenuta dal proprio radicamento e dalla crescita della propria economia di territorio.
La sede civica di piazza Garibaldi, lo spazio religioso di piazza Duomo, il polo delle istituzioni culturali nella Pilotta e il punto di socialità oggi negata del Casino del Petitot sono nodi urbani che si aggiungono nel tempo gli uni agli altri descrivendo una progressiva articolazione della Comunità, testimoniando la persistenza di un’idea di città da raggiungere e ricordando slanci di protagonismo di Parma tra l’affermazione produttiva del sistema locale e la ricerca di un’assunzione di ruolo a livello internazionale.
La via Æmilia viene costruita in pietra alcuni anni prima della sua fondazione, è la sua premessa insediativa e il principale veicolo dei suoi rapporti. La colonia romana viene disegnata prima di Cristo sulla strada e grazie alla strada per l’impero, con le insulae ritagliate dalle parallele di cardo e decumano che saltano nel crocevia centrale per lasciare lo spazio al foro. La prosecuzione dilatata di questo disegno sul territorio bonifica la campagna, struttura l’assetto agricolo sulla matrice centuriale e fonda i connotati principali del paesaggio. Al castrum originario si affianca nel Medioevo la cittadella episcopale, esterna e isolata, che reinventa il presidio longobardo ereditato fuori città. Vescovado, Duomo e Battistero sono i pezzi di un montaggio dialettico e teatrale compreso tra i monasteri che difendono e sostengono l’azione dei vescovi, tra i quali colpisce la vicenda eretica di Cadalo che viene eletto, prima dell’anno Mille, addirittura antipapa dal partito imperiale.
Non stupirà scoprire che proprio i monasteri di San Paolo e San Giovanni sono da alcuni secoli i granai del potere religioso e i presìdi economici che consentono la costruzione della nuova polarità urbana. L’apice di questa composizione è l’ottagono dell’Antelami dove viene portato il carroccio simbolo della vittoria della Lega lombarda su Federico II, luogo di sintesi di molti livelli, sacro e laico, aulico e popolare. Impressiona vedere l’uomo che raccoglie il frumento d’estate e l’uva in autunno divenire scultura nel ciclo dei mesi ed essere posto sotto i costoloni delle volte gotiche e sotto le rappresentazioni sacre degli apostoli.
All’interno del risveglio economico e culturale del Rinascimento nell’Italia settentrionale va poi inquadrata la straordinaria e inaspettata stagione artistica cinquecentesca della cosiddetta ‘Scuola di Parma’, che occupa uno spazio centrale nella Grande Gallerie du Louvre, con Correggio tra Raffaello e Caravaggio, e anticipa con i cicli pittorici, le cupole e le chiese a pianta centrale, l’avvento della nuova città del Ducato.
Il grande organismo sospeso della Pilotta, palazzo del potere rimasto senza volto, guida da lontano l’articolazione del nuovo insediamento poco prima del Seicento. È città privata con strade architettoniche in quota che si separa dall’insediamento ma al contempo lo attraversa, facendosi spazio nei Secoli sul limite del torrente, collegando e rendendo sicuri i luoghi che il Duca pian piano inizia a condividere: la Reggia di là dall’acqua, il Giardino, il Teatro Farnese, le Gallerie per l’arte e per i libri, le sale di rappresentanza, il Teatro Regio, le chiese rinnovate.
La condivisione e il coinvolgimento si ampliano progressivamente innanzitutto sul piano commerciale grazie alla maturazione di nuove condizioni infrastrutturali e all’apertura progressiva dei confini ducali avviata nella parentesi napoleonica e sviluppata con decisione nella lunga reggenza luigina. L’affermazione borghese sette-ottocentesca accompagna questo percorso diffondendo nella città i segni di un’ambizione irrisolta di capitale come nel caso di uno dei primi caffè d’Europa posto a sbalzo sulle mura, fuoco prospettico del nuovo disegno del grande viale di ispirazione parigina che ancora oggi separa città e cittadella e del Pubblico passeggio che trasforma le difese cinquecentesche in terrazze urbane sul paesaggio.
Il salto di Parma da comunità agricola tradizionale a economia agroindustriale avanzata che la stazione ferroviaria innesca tra la metà dell’Ottocento e i primi del Novecento cancella la cinta farnesiana e ne nasconde l’impronta. Il monumento a Verdi di quegli anni è il simbolo perduto di come la città voleva presentarsi a chi scendeva dal treno, tentativo fallito di dare ordine alla dispersione insediativa in frammenti del nuovo distretto conserviero di inizio secolo, segno di una nuova impresa collettiva ancora più ampia e di un nuovo sentimento trasversale di orgoglio della gente, memoria cancellata dalla guerra e continuamente evocata.
Tutto questo lo dice la città di Parma attraverso le sue architetture più rappresentative, se siamo capaci di ascoltare con gli occhi il suo messaggio visivo. I monumenti, da Ernesto Nathan Rogers legati per radice etimologica ai significati di memini e moneo, memoria e ammonimento, ci ricordano proprio questo e ci mettono in guardia.
I suoi simboli costruiti sono il concretizzarsi, caso per caso, società per società, di un’idea di città ricorrente che non si è mai bastata, che ha sempre provato, quando ha pensato di averne la forza, a giocare un ruolo di primo piano in un contesto ampio. Possiamo allora pensare a Parma come a una città europea con ambizione di capitale?
Nel 2015 il riconoscimento Unesco di ‘Capitale della gastronomia creativa’ costituisce una rinnovata e solida apertura di rapporti internazionali che ha affermato in maniera inequivocabile un primato della sua cultura alimentare, un riconoscimento molto importante oltre che per l’identità collettiva anche per l’economia del territorio in chiave sia produttiva che turistica.
A questo deciso avanzamento corrisponde l’esigenza di rilanciare un’azione parallela sui temi del patrimonio artistico e culturale, sia storico che contemporaneo. Una domanda è infatti oggi più che mai opportuna: Parma vuole essere Capitale europea solo del cibo? Non voglio però essere frainteso: considero questo carattere dell’economia urbana e territoriale una risorsa identitaria fondamentale non solo per la città ma anche per la campagna coltivata a cui tutti i parmensi sono affezionati. D’altro canto però la recente definizione dei Chiostri del Correggio come ‘Parma Gastronomy Hub’ e la proposta collegata di trasformare il monastero di San Paolo in Palazzo del cibo richiedono verifiche accurate, segnalano l’esigenza di avvicinare il tema con la dovuta delicatezza e sollecitano un dibattito pubblico.
Dobbiamo sempre ricordare che proprio lì c’è la Stanza della Badessa, una delle più importanti e celebri opere del Correggio che da sola vale la visita in città. Dobbiamo quindi innanzitutto lavorare per rinnovare la consapevolezza dell’importanza di luoghi come questo, affinché Parma riconosca il valore che tutto il mondo assegna ai suoi tesori più preziosi. Una strategia coordinata di governo, conoscenza e promozione potrebbe allora collegare i monumenti riconducibili a questa idea di città perché la dimensione internazionale possa tornare a essere un obiettivo da perseguire e un diffuso sentimento collettivo.
Ma come rilanciare questa prospettiva collegando patrimonio storico e assetto futuro anche nell’ottica della competizione territoriale delle città che stiamo vedendo attivarsi su scala mondiale?
Alcuni primi passi, ancora iniziali, sono stati fatti. Il lavoro collettivo di Parma Città Futura delinea una prospettiva sostenibile dal punto di vista ambientale, economico, sociale e uno scenario di valorizzazione dell’identità urbana. La proposta di realizzare un parco archeologico delle mura farnesiane prefigura un anello verde di ricucitura del rapporto tra città storica e prima periferia e la valorizzazione del sistema insediativo della corona. Un ruolo attivo della Reggia Ducale con il recupero delle Aranciaie e del Foro boario come Polo integrato agroalimentare è parte di una strategia di rigenerazione più ampia che ridisegna la circonferenza storica della città e riqualifica le porte cinquecentesche, i caselli daziari e il Casino del Petitot, oggi condizionati se non isolati dalla viabilità di circonvallazione.
Ma Parma Città Futura non è stata solo un Progetto Urbano Strategico condiviso con la popolazione. È stata anche un processo partecipato di riflessione collettiva. Tra le molte proposte raccolte nel Libro bianco per la città di Parma emerge, in questa prospettiva, quella per il Museo/laboratorio della città come strumento di formazione, informazione e promozione integrata che potrebbe dare contenuto agli interventi previsti anche nel monastero di San Paolo.
Allargando lo sguardo al territorio la proposta della Azienda BCorp Davines per il Chilometro verde, un parco lineare di mitigazione ambientale lungo l’autostrada che si pone l’obiettivo di trattenere le polveri sottili emesse dai veicoli, potrebbe guidare un riordino complessivo delle infrastrutture con l’emergenza di un intervento ineludibile sull’aeroporto, magari dialogando con la conversione sostenibile del vicino quartiere industriale SPIP, e potrebbe condividere l’obiettivo di comunicare il sistema-Parma attraverso un disegno del paesaggio coerente con la sua identità storica sulla misura centuriale della campagna.
Di fronte a questi scenari la recente vittoria della candidatura di Parma Capitale della Cultura italiana 2020 potrebbe scegliere, tra le numerosissime proposte ricevute, una direzione di lavoro finalizzata al rilancio di una politica strategica di valorizzazione del patrimonio esistente e alla finalizzazione di un’azione non episodica delle attività culturali attraverso il tempo.
Due recenti decisioni legislative indicano una possibile direzione di lavoro sul passato e sul futuro della città: il nuovo assetto istituzionale della Pilotta e la stabilizzazione del Festival Verdi. L’inserimento della Pilotta con il Museo Archeologico, la Galleria Nazionale e il Teatro Farnese nella lista dei Complessi monumentali nazionali apre una straordinaria occasione per la città. Un nuovo direttore scelto nel contesto internazionale, un nuovo Consiglio di Amministrazione autonomo e la possibilità di trattenere i ricavi dei biglietti, consentiranno di sviluppare nuove iniziative con evidenti ricadute sulla città in termini sociali, turistici ed economici. Come ai tempi di Maria Luigia, proprio la Pilotta potrebbe assumere la gestione di tre luoghi preziosi da rivalutare e promuovere a livello internazionale come la citata Stanza della Badessa al monastero di San Paolo, la Spezieria di San Giovanni e il castello di Torrechiara. Anche grazie a questa azione e alla messa in valore di quella ‘Scuola di Parma’ con Correggio e Parmigianino conosciuta in tutto il mondo sarà possibile dare adeguata attenzione per l’arte non solo degli oli e degli affreschi, ma anche della cultura contemporanea in linea con le esperienze uniche dell’Accademia di Belle Arti e del Centro Studi e Archivio della Comunicazione dell’Università di Parma.
Tra le altre discipline artistiche la musica assume poi un particolare ruolo identitario e attende un salto di livello grazie all’opportunità del riconoscimento nazionale del Festival Verdi, che, grazie a un finanziamento fisso annuale e a una prospettiva certa di lavoro, potrà consentire una programmazione a lunga scadenza e una crescita di livello internazionale. Le alleanze con le piccole e le grandi città della lirica e della musica sinfonica, il coinvolgimento di sponsor e di sostegni stranieri potranno costituire un contributo essenziale nella prospettiva che stiamo descrivendo.
Come per l’arte il volano del Festival potrà promuovere un coordinamento e una valorizzazione delle molte forme contemporanee di attività musicale e teatrale di cui la città è ricca, a partire dall’esperienza di riferimento su scala europea del Teatro Due, trasformando la musica da vocazione a risorsa e superando la distinzione senza senso tra ricerca e divulgazione. Su questi temi sarà necessario dedicare la massima concentrazione di attenzione e di risorse.
Su questo scenario sarà decisivo mobilitare una diffusa partecipazione. Occasioni perse come l’istituzione della Casa della Musica, o iniziative non recepite come Parma Urban Center, segnalano l’esigenza di un differente approccio alla crescita culturale della città su questi temi e sottolineano l’opportunità di dare stabilità ai motori che anche in autonomia possono promuovere questa prospettiva condivisa dal basso, attivando consapevolezza, facendo formazione, coinvolgendo popolazione e società civile. Il riconoscimento del valore collettivo dei monumenti, della città e del paesaggio nella contemporaneità sarà allora possibile e potrà affiancare il prestigio di una straordinaria tradizione gastronomica. Tornerà Parma a voler essere una capitale europea fondata sulla propria identità storica attualizzata in un’accezione ampia (ovviamente materiale e immateriale) da reinventare e mettere a disposizione della società contemporanea e del contesto globale?
Sarà forse possibile se verrà riaffermata nella mobilitazione collettiva quell’idea di città che ha dato forma al Battistero e se arriverà una nuova stagione di protagonismo della profonda dimensione culturale che la anima, come sempre nel rapporto con l’economia che la sostiene.






