La città di Matera

Le cento città d’Italia: Matera

Testo di Paolo Verri

n.4 luglio/agosto 2019

Designata nel 2014 Capitale europea della cultura per il 2019, Matera è stata riconosciuta non solo per il valore della sua bellezza secolare e delle radici del suo passato, ma anche per l’apertura del progetto culturale che ha saputo accogliere. Lo sguardo retrospettivo che valorizza il patrimonio straordinario del territorio materano, si è unito al desiderio di mobilitare le risorse locali e di coinvolgere residenti e visitatori per creare percorsi e connessioni di respiro più ampio, mediterraneo ed europeo

Paesaggio urbano o paesaggio umano? Nel caso di Matera e della sua storia recente, il dilemma è presente ma anche soprattutto passato, nonché futuro, un po’ come scriveva Thomas Stearns Eliot nei passaggi più celebri dei suoi Quattro quartetti. Presente, perché è evidente la lotta corpo a corpo tra un paesaggio prima aspro e difficile da domare, ora fragile e in bilico come un ghiacciaio nella morsa del cambiamento climatico; passato, perché nulla è mai uguale a se stesso, e chi cerchi ora a Matera la bellezza delle immagini in movimento girata da Pasolini più di cinquant’anni fa non troverà ovviamente in alcun modo lo squallore delle case-grotta, la povertà moribonda dei suoi abitanti, e ancora meno un paesaggio sospeso tra la vita e la morte, quale quello artificiosamente costruito dall’evacuazione massiccia, quasi totale, degli abitanti dai quartieri più tristemente allora noti, i Sassi; futuro, perché oggi chi domina il paesaggio non sono più le case, né le cose, ma le persone, i corpi, rinnovati in una ricchezza inusuale e in un linguaggio profano, dove il dialetto è sostituito dagli idiomi di tutto il pianeta. 

Matera esperimento culturale ha, come tutte le materie vive, i suoi pro e i suoi contro. Appassiona, genera dibattito, è di esempio, di stimolo, di monito. Da luogo statico è entrata in un flusso; flusso di informazioni che genera interesse, opportunità, sviluppo. E che mettendosi in gioco rischia, muta la propria identità, ne perde pezzi, ne guadagna altri. 

Descrivere la bellezza di Matera è un disegno da ragazzi: non ha monumenti progettati dai grandi maestri dell’architettura, ma ogni sua casa è stata costruita dai cittadini stessi, mettendo le mani nelle cave di calcarenite che costeggiano la via Appia, la fondamentale arteria viaria romana che collegava Roma a Brindisi. È lungo questa rotta che si è alternata la povertà e la ricchezza della città. Da una pietra miliare lungo l’Appia si apre una ferita nel terreno, un torrente di piccola portata si muove come un serpente corazzato e spacca la roccia granitica, diventa canyon di dimensioni inusuali e genera uno specchio, dove si fronteggiano natura e cultura, uomo e divinità. Da un lato i Sassi, dall’altro l’altopiano murgico. In cima alla città, il campanile della cattedrale, come fosse l’antenna di una farfalla che cerca di librarsi e invece è catturata da un silenzio immane. 

Nel corso dei secoli questa spaccatura che oggi sembra miracolosa ha creato distanze sociali significative; la città non è sempre stata povera, anzi; la decadenza comincia nella seconda metà dell’Ottocento, con la fine dei commerci locali dedicati alla lana e all’agricoltura di prossimità in virtù della nascita di grandi centri di produzione industriale al nord. Ma tra il Seicento e il Settecento, come si può notare visitando l’eccezionale patrimonio ecclesiastico composto da chiese, conventi, monasteri, Matera si era arricchita di edifici di altissima qualità, oggi variamente trasformati in sedi di istituzioni culturali, spazi per le attività istituzionali, ma anche luoghi di ospitalità dal design innovativo e coinvolgente. 

Progettare un futuro per una città simile sembra un’azione perdente in partenza. Il primo istinto è quello di occuparsi di patrimonio, di guardare i mattoni e di dedicarsi ai restauri. Ma il vero centro dell’azione, per Matera come per il resto del Sud, e in particolare per le aree interne del Meridione, è quello di occuparsi delle persone. A Matera e in Basilicata esiste una classe creativa molto vivace, per anni fuori dai circuiti, quindi molto attenta al contemporaneo ma con un’autenticità non riscontrabile altrove. È con loro, oltre cento associazioni presenti in un territorio grande come il parco di Yellowstone, che abbiamo scritto il dossier di candidatura con cui Matera è stata nominata, il 17 ottobre 2014, capitale europea della cultura.

È importante, a proposito, ricordare il perché di questa scelta: la competizione infatti non riguarda la bellezza delle singole città (avremmo potuto battere Venezia, o Siena, o Lecce?) ma la tipologia del progetto. Matera è stata selezionata dai tredici giurati incaricati, sette stranieri e sei italiani, per tre motivi: la novità della visione culturale proposta; l’eccezionale partecipazione dei cittadini già in fase di candidatura; l’impostazione manageriale della gestione economica, con un forte equilibrio tra risorse nazionali e risorse locali, tra intervento pubblico e investimento privato, e con una garanzia costituita da oltre 20 milioni di euro già deliberati come fondo di attuazione del progetto in fase di nomination. Un budget piccolo, se confrontato con quello di Olimpiadi o di Expo (Torino 2006 ha speso 2 miliardi di euro, 1 per le attività sportive e 1 per le infrastrutture; Milano 2015 circa 12 miliardi; Matera 2019 50 milioni per le attività e poco meno di 200 per le infrastrutture locali, non gestiti dalla Fondazione che presiede all’evento ma direttamente dagli enti locali preposti).

Nell’occasione di Matera 2019 ci siamo quindi dedicati a quattro grandi percorsi di attività per favorire lo sviluppo della città: innanzitutto abbiamo creato un network di collaborazione tra soggetti locali e soggetti europei che ha consentito ai primi di entrare a far parte di un sistema culturale più ampio e quindi più sostenibile, e ai secondi di scoprire luoghi e risorse umane sconosciute (con l’esclusione di Napoli e di Palermo, e più recentemente di un pizzico di Puglia e Salento, il Sud Italia non fa parte delle rotte culturali prioritarie, è luogo o di autoproduzione per il territorio o di consumo). Con questa azione oggi siamo in grado non solo di produrre spettacoli di maggiore qualità, ma di farli circuitare in tutta Europa portando il nome di Matera come bandiera dell’innovazione culturale. Gli spazi più tradizionali, come i Sassi, sono stati il luogo della sperimentazione di momenti di co-creazione potenti, come la Cavalleria Rusticana diretta da Giorgio Barberio Corsetti che ha valorizzato non tanto e non solo lo splendido scenario del Sasso Barisano e di piazza San Pietro Caveoso (oltre ai 3000 spettatori presenti sur place abbiamo avuto circa un milione di spettatori per l’eurovisione coprodotta da Rai, Arte e tv svizzera tedesca), oppure come la Chiamata per il Purgatorio di Dante Alighieri, coordinata dal Teatro della Albe di Ravenna in collaborazione con Ravenna Festival, tutta realizzata all’interno dello straordinario complesso delle Monacelle. Per restare a questi due esempi, sono stati oltre 1500 i cittadini che hanno creato lo spettacolo e l’hanno reso possibile diventandone parte integrante sia a livello interpretativo che organizzativo. 

Altrettanti sono stati i volontari che hanno accolto gli oltre settecentomila visitatori che tra gennaio e settembre hanno pacificamente invaso Matera per condividerne la bellezza ma soprattutto per vedere con i propri occhi i contenuti originali offerti al pubblico. Un pubblico che abbiamo voluto composto non da turisti, ma da cittadini temporanei, non numeri ma persone in carne e ossa anch’essi, non antagonisti degli abitanti culturali di Matera, ma amici e partner nel fare della città lucana un luogo di sperimentazione permanente. In mano non un biglietto, ma un passaporto fatto di indicazioni di uso della città, di regole da rispettare per renderla non una ‘location’ ma un laboratorio socioeconomico di nuova specie. Dalla visita di ‘Rinascimento visto da Sud’ la più grande e dettagliata mostra sul tema, curata da Marta Ragozzino insieme a un pool di esperti che sono riusciti in una impresa che si attendeva dagli anni Ottanta, il cittadino temporaneo usciva con la consapevolezza che Matera non sono solo i Sassi, non è solo la storia di un riscatto dalla povertà di fine Ottocento, ma è un centro fondamentale di collegamento tra Napoli e l’Adriatico, e che il Mediterraneo tutto deve essere ripensato nella sua dimensione ovest-est (Portogallo- Libano) oltre che nella sua classica interpretazione nord-sud (Amburgo-Taranto). Il ripensamento totale di Palazzo Lanfranchi, non solo sede espositiva delle collezioni più importanti della Basilicata ma casa della cultura di tutti e per tutti, è stato il fulcro di questo ripensamento dei luoghi non come fini a se stessi e da tutelare in quanto tali, ma come opportunità di crescita e di rimessa in gioco di ampi strati della società, in particolar modo giovani e anziani, alle prese con una dimensione temporale del tutto nuova, collegata più all’esperienza del dono che a quella del profitto.

Oltre al networking e alla co-creazione, altre due sono le linee perseguite per fare di Matera non un parco a tema da visitare ma un soggetto vivace, non come città di palazzi ma comunità di corpi e cervelli: l’allargamento della città, l’inclusione nei nuovi percorsi di visita di due aree normalmente ai bordi e che invece devono diventare sempre più centrali: lo spazio delle cave (proprio quello da cui la città è nata) con l’utilizzo di Cava Paradiso come luogo di attuazione del progetto I-DEA dedicato alla reinterpretazione degli archivi pubblici e privati della Basilicata da parte di grandi artisti contemporanei come Mario Cresci o Virgilio Sieni e la riconversione della Cava del Sole da spazio occasionale a villaggio permanente delle arti performative, con un cava coperta da 700 posti e una all’aperto da 6000. Un vero e proprio riscatto non sociale ma fisico, la nascita dei ‘Fori Imperiali’ di Matera dove ospitare grandi eventi di ogni tipo, dall’Orchestra Sinfonica della Rai diretta da James Conlon (di orgini lucane!), al talento di Jan Garbarek, al genio di Vinicio Capossela. 

Una scelta, quella delle Cave, per consentire meno pressione sulla fragile identità urbana dei Sassi, ma anche per collegare ancora di più la città al sistema urbano di Bari e Brindisi/Valle d’Itria, diventando il vertice ineludibile di un percorso culturale e turistico di primissimo piano, presto da estendere a Taranto. 

Infine, il lavoro di inclusione sociale: Matera 2019 non è stato un momento elitario di pochi intellettuali locali alle prese con la propria identità meridionale, ma l’offerta della comunità materana a tutta Europa e a tutto il Mediterraneo di uno spazio franco dove esprimersi, e dove particolare ruolo hanno gli immigrati, i portatori di handicap, chi vive di solito la contemporaneità come sistema che esclude i deboli e si offre solo ai ricchi, ai potenti. Per questo il costo dell’accesso è stato pensato di un euro al mese, di 12 euro l’anno per i locali e di 19 per visitatori da extra regione. Perché la cultura è soprattutto accesso e partecipazione. Tra poco l’anno finirà e presto presenteremo le attività per il 2020 e i luoghi in cui i progetti fatti nel 2019 circuiteranno. La più grande soddisfazione sono state le lacrime dei cittadini il giorno della cerimonia inaugurale. A loro, grandi protagonisti di questa impresa, va il nostro più grande ringraziamento.

La città di Matera
Rione Sasso Barisano Matera
Cava Paradiso Matera
Rione Sasso Caveoso Matera
Palazzo Lanfranchi Matera
Santa Maria di Idris Matera
San Pietro Barisano Matera
Cavalleria rusticana Matera
Cava del Sole Matera