
Le cento città d’Italia: Mantova
Testo di Stefano Baia Curioni
n.3 novembre/dicembre 2018
Mantova è città dalle origini mitiche – vuole la leggenda che il suo nome derivi da Manto, figlia di Tiresia – nonché il luogo natale del poeta Virgilio e per secoli un ricettacolo di opere d’arte e di architetture. Una città non solo rigogliosa di cultura, intrisa di storia quanto di natura, che condivide con altri centri urbani la condizione di essere protesa tra un passato aurorale e un futuro da costruire con creatività, ma che è anche fascinoso tassello di un territorio che accoglie una varietà di paesaggi connessi da reti d’acqua.
Quando arrivi a Mantova le prime volte, passando dal ponte di San Giorgio verso Palazzo Ducale, fatichi a crederci. In Italia ci sono alcuni, non molti, posti così; mi vengono in mente Civita da Bagnoregio, Urbino, Venezia: città-isole, che si stagliano al limitare di un ponte, al di là di un passaggio difficile, come piccoli miracoli, cristalli di tempo. Mantova è un’isola un po’ diversa, non è un museo: anche se si lascia guardare quietamente non si squaderna. È una città di cui si coglie una forza silenziosa e difficilmente decifrabile, antica e non immediatamente evidente. Mantova è certamente e a buon titolo una città d’arte, ma si concede a diversi livelli di lettura: è possibile guardarla come una capsula del tempo, lasciata lì, sulla riva del lago, dopo una antica e difficilmente dimenticabile stagione di ricchezza e centralità culturale; un mondo ricco e innamorato del suo passato, geloso dei suoi tanti privilegi, ma anche colto e coltivato, capace di inventare il formato dei festival e delle grandi mostre poi imitati da tante altre città, capace di gestire con successo la nomina a Capitale Italiana della Cultura nel 2016; è infine possibile riconoscerla come una cittadina periferica oltre che ricca, quasi sospesa nel vuoto tra Lombardia, Veneto ed Emilia, che sta combattendo per un futuro migliore dopo il declino dei progetti di industrializzazione pesante degli anni Settanta e Ottanta. Il sistema Mantova è definito da una stratificazione di paesaggi, di storie, di architetture, racchiusa tra il Garda e il Po. È un’area strategica che ha storicamente controllato due assi nevralgici di spostamento (est-ovest e nord-sud) crescendo come roccaforte militare imprendibile; è una riserva naturale formata dalla sequenza delle colline moreniche che chiudono il lago di Garda, che prosegue nelle pianure alluvionali e boscose del parco del Mincio, per arrivare alle terre nere del Po; è un gioiello ben preservato della pianificazione urbanistica rinascimentale, riconosciuto come patrimonio mondiale dell’umanità da Unesco.
L’acqua è per Mantova, il cui territorio è attraversato da Po, Mincio, Oglio, Secchia, Sarca, una rete di comunicazione, un sistema difensivo e da sempre una riserva alimentare quasi senza paragoni. È seguendo il corso delle acque che questo territorio può essere veramente compreso, seguendo gli affluenti del Po, in primis il fiume Mincio, che nasce dal lago di Garda e si snoda verso sud inoltrandosi nel territorio mantovano, antica proprietà della famiglia Gonzaga. Tutto l’alto mantovano, seguendo il fiume Mincio verso sud, si configura come un vero e proprio sistema difensivo. In cittadine come Castiglione, Volta Mantovana, Villimpenta, Monzambano e Cavriana troviamo innumerevoli castelli, torri e cinte murarie. Analogamente il fiume Oglio attraversa i territori fra Cremona e Mantova, anch’essi caratterizzati da architetture, torri e castelli, in cittadine quali Marcaria, Commessaggio, Gazzuolo, Redondesco e cinte murarie, fra le più note ed estese quelle di Bozzolo e di Sabbioneta. Quest’ultima, città ideale, labirintica fortezza stellata di Vespasiano Gonzaga, insieme a Mantova, offre una testimonianza eccezionale delle modalità di realizzazione urbana, architettonica e artistica del Rinascimento.
Nel suo discendere verso sud il fiume Mincio giunge alla città di Mantova e qui, grazie all’ingegno dell’uomo, si trasforma in magnifici laghi. Oggi i laghi che circondano la città sono tre, ma un tempo erano quattro e facevano di Mantova un’isola protetta perché inavvicinabile.
La Civitas Vetus rappresenta il nucleo più antico della città e vi sorgono il castello di san Giorgio e l’immenso complesso architettonico di Palazzo Ducale, residenza dei duchi Gonzaga, di Isabella d’Este e accolse artisti del calibro di Mantegna, Leonardo da Vinci e Ludovico Ariosto. Attorno al Ducale, in sequenza verso il rio che chiudeva la città, si snodano antiche piazze medievali: piazza Sordello, piazza Broletto, piazza Erbe e la magnifica opera dell’architetto Leon Battista Alberti, la Chiesa di Sant’Andrea. Le strade strette e selciate con ciottoli di fiume sono ritmate dalla presenza di torri medioevali fra cui la Torre degli Zucchero, la Torre della Gabbia, la Torre di Sant’Alò, la Torre dei Gambulini e la Torre delle Ore, quest’ultima facente parte del complesso architettonico di Palazzo della Ragione e Palazzo del Podestà.
Oltre il centro antico si estende la città rinascimentale, caratterizzato a sud dalla presenza limitrofa della Casa del Mantegna, del Tempio di San Sebastiano progettato anch’esso da Leon Battista Alberti e il Palazzo di San Sebastiano. Poco più avanti, nel parco che si distende oggi sull’antica isola del Te si apre Palazzo Te, capolavoro architettonico e pittorico di Giulio Romano, primo tra gli interventi del grande artista, che sulle orme di quanto Raffaello aveva fatto a Roma, segnerà l’apogeo dello sviluppo urbanistico e artistico della città.
Palazzo Te è un luogo fantastico ed enigmatico, concepito come reggia privata, di delizie e piacere, ha poi svolto un ruolo decisivo di rappresentazione del potere e di diplomazia culturale, ospitando Carlo V in una memorabile celebrazione. È un palazzo-teatro-scrigno, che sembra essere concepito come una villa romana, ma che in mille dettagli trasforma il classico in un ambiente del tutto diverso, mutevole, con accenni di caduta, di frana, di gioco, pieno di trucchi architettonici nelle sue mancate simmetrie, nella forma stroboscopica delle logge e dei colonnati. Le sue decorazioni pittoriche, straordinarie, sono liberamente organizzate attorno ai temi delle Metamorfosi di Ovidio e nelle tre sale dei cavalli, di Amore e Psiche e dei Giganti, segnano un crescendo che in modo quasi cinematografico racconta della presenza liberatoria e sensuale delle forze della natura, la magia dei cieli, e la salvezza che il potere garantisce di fronte al crollare di un mondo tradizionale. Insomma, in tutta la sua struttura, Palazzo Te racconta di un nuovo che emerge come un ‘nuovo’ flagrante e nello stesso tempo intriso di storia. Per questo motivo esso rappresenta quasi simbolicamente il senso profondo della cultura e della politica culturale della città.
Mantova, certamente città d’arte, condivide con altre italiane ed europee alcune fondamentali difficoltà, la principale delle quali è rappresentata da una tendenziale marginalizzazione economica congiunta a una specifica difficoltà nell’impiego giovanile. È un luogo di ricchezza, in cui la qualità di vita ha pochi paragoni, che però i giovani tendono a lasciare per non tornare: tecnicamente si chiama ‘brain drain’ ed è il segno della pressione competitiva esercitata dai grandi centri urbani limitrofi, Milano per prima, ed è un problema serio, che mangia il futuro.
Se esiste una sfida che Mantova condivide oggi con molte altre, è il fatto di essere una città d’arte, ma di non concepirsi, narrarsi e organizzarsi come una città creativa, capace di attrarre talenti e di innovare la propria visione del futuro. Ed è invece proprio la possibilità di essere anche città creativa, di servizi, di artigianato e industria innovativi, e quindi città del lavoro, oltre che città d’arte, a rappresentare una delle sue più importanti sfide.
Creare le condizioni perché questo accada non è facile, ma è certamente un compito cui una politica culturale e le istituzioni culturali possono e forse debbono mirare in quanto lieviti di una possibile trasformazione urbana. Negli ultimi venticinque anni si è molto, molto parlato, soprattutto parlato,
di politiche culturali nel loro rapporto con lo sviluppo economico e sociale, in generale nel loro rapporto con i processi di modernizzazione nel quadro del capitalismo avanzato.
Il dibattito è stato fino a poco fa, sterilizzato da contrapposizioni ideologiche e francamente poco utili. Esempio tipico è dato dal turismo culturale cui oggi si guarda come una sorta di manna universale. Come negare che sia un elemento rilevante per il sostegno della domanda soprattutto in luoghi interessati da fenomeni di marginalizzazione e deindustrializzazione? Il turismo porta ricchezza e va incrementato. D’altra parte affinché esso possa davvero avere un effetto sistemico e non produrre soltanto sporadici shock esogeni e temporanei della domanda con effetti prevalentemente inflattivi, occorre che i suoi indotti non si concentrino solo nelle poche tasche di chi (spesso per motivi meramente logistici) è in rendita di posizione. Occorre non solo attrarre, ma anche fare in modo che il percorso urbano dei visitatori non sia troppo breve e concentrato su pochi poli, ma più distribuito spazialmente, con una pianificazione urbana dei punti di approdo e scambio; fare in modo che l’incremento della domanda possa distribuirsi su un sistema di opportunità allargato su scala territoriale, premiando prodotti e servizi disegnati e realizzati localmente, capaci di un premium price e disincentivando la standardizzazione e la competizione sui costi; fare in modo che si formino sul territorio, in particolare per i giovani, le capacità e le competenze idonee a cogliere le opportunità delineate dal turismo. Il che significa lavorare per aumentare la domanda, potenziare l’offerta, costruire competenze e capacità nel medio termine. In altre parole la politica della cultura e dell’attrattività turistica deve combinarsi con politiche di sviluppo della creatività e dell’imprenditorialità in una visione capace di vedere la cultura e il patrimonio come motori di una trasformazione collettiva. Ovviamente questo sforzo implica una forte leadership e management ben organizzato. Non si tratta di un intervento semplice, le condizioni politiche perché possa realizzarsi sono rare. Occorre che la città possa davvero convincersi di poter essere migliore. È una via difficile e poco segnata, ma di importanza vitale, non solo per Mantova ma per molte altre città italiane.
E il fascino di Mantova, la ragione per visitarla, dedicarle tempo, progetti, è data anche dalla scelta che collettivamente va maturando, di vivere il patrimonio come sorgente di visione oltre che di identità, come ispirazione di cultura del fare oltre che dell’accogliere, come sorgente di intelligenza oltre che di bellezza.







