edificio residenziale Vier Jahreszeiten nella città di Coira

La costruzione dello spazio

n.6 novembre/dicembre 2019

Il tema dello spazio invita al confronto, in questo numero, l’architetto romano Stefano Cordeschi e l’architetto svizzero Valentin Bearth. Entrambi, attraverso il racconto delle proprie esperienze personali e interpretative dello spazio, espongono un punto di vista che va oltre il concetto attinente al
solo significato fisico del termine.
Questo è descritto da un lato come “racconto da preservare” e quindi indissolubilmente legato al nostro sentire e a ogni specifica situazione progettuale, dall’altro come “traduzione di un progetto di vita” che attraverso l’architettura conferisce dignità e rispetto all’esistenza umana, rappresentando comunque in maniera fisica un’esperienza collettiva che si sedimenta nell’opera costruita

L’architettura esprime sempre le esigenze, le aspettative, le speranze di una società, e le traduce in un ambiente costruito. Fare architettura significa tradurre nello spazio un progetto di vita. L’architettura è un’arte che lega le sue opere al luogo, al sito, quindi a specifiche condizioni insediative, sociali, politiche, culturali. Costruire è espressione dell’uomo, di come lui si protegge dall’ambiente. Il progetto architettonico è tuttavia un atto culturale che va oltre il semplice adempimento di esigenze pratiche, poiché significa trasformare materia primaria in interazioni che ci commuovano nel profondo. L’architettura esprime nella sua costruzione la ricerca di felicità dell’uomo. Ciò che rende speciale il lavoro dell’architetto è quindi il percorso che dal pensiero conduce all’oggetto: all’inizio abbiamo le richieste e i desideri; alla fine l’edificio reale, fisico. L’unità tra uso e forma è il risultato dell’equilibrio tra ragione e sensazione. La progettazione e la costruzione sono da una parte il frutto di riflessioni e decisioni razionali, elementi definibili e analizzabili che, in quanto valori collettivi, possono essere insegnati e appresi. Dall’altra parte agiscono però nell’architettura anche aspetti suggestivi, nascosti e segreti: i valori individuali.
Sin dall’antichità l’architettura è considerata una conoscenza che riunisce saperi diversi, come le discipline storico-umanistiche da un lato e le discipline tecnico-scientifiche dall’altro. Le sfide poste dall’architettura spaziano così dalla competenza professionale alla sensibilità artistica e culturale di chi la pratica, riunite dalla curiosità che spinge a cercare lo sconosciuto e a dargli rappresentazione fisica. Il progresso delle tecnologie informatiche e della comunicazione e i rapidi cambiamenti sociali ed economici producono continuamente, attraverso la rete di collegamenti mondiali, nuove abitudini di vita. Tutto ciò richiede all’architettura trasformazioni profonde, che non possono limitarsi alle innovazioni tecnologiche ma si devono confrontare con la questione dell’identità stessa della pratica architettonica. Nonostante i cambiamenti e le evoluzioni l’architetto rimane il maggior regista della costruzione dello spazio. In seguito descrivo un’esperienza architettonica che mi ha colpito ancor prima che diventassi architetto. Sono momenti di esperienza dello spazio che ricordano quale forza di suggestione sia in grado di esercitare l’architettura. È una testimonianza, di uomini e generazioni estinte, della volontà creativa con cui l’uomo cerca di dare senso e significato alla sua esistenza.
“Su una piccola sporgenza della roccia, nel mezzo di una radura che si apre fra i boschi al di sopra della gola dell’Albula e all’ingresso della gola Schyn, si erge, solitaria e intatta, la più antica chiesa a tre absidi della Svizzera, realizzata in pietra in epoca carolingia. Pochi volumi geometrici collegati fra loro ne delineano l’aspetto esterno: il corpo centrale rettangolare, con copertura a falde spioventi, le tre absidi semicircolari sul lato est, il campanile a pianta quadrata dall’aguzzo tetto a piramide che, leggermente asimmetrico, svetta sull’opposto lato ovest. Un muro di recinzione, intonacato a rasapietra, delimita, separandola dall’ambiente naturale in cui sorge, la Casa di Dio, massiccia e imponente. I piccoli vani rettangolari delle finestre, posti in alto e chiusi da archi a tutto sesto, accendono la fantasia e la curiosità, suscitando il desiderio di saperne di più sull’interno così nascosto. Passando davanti all’ossario annesso alla navata, che ricorda immediatamente e con insistenza la finitezza e la transitorietà dell’esistenza umana, il visitatore raggiunge la tozza porta d’ingresso. L’alta soglia sottolinea il passaggio dallo spazio esterno, aperto verso la valle, allo spazio interno, protetto e sacro.
La sala rettangolare, con affreschi di cui restano solo frammenti e con il piatto soffitto ligneo, sorprende per la sua atmosfera, che emana un senso di pace, di sicurezza e di protezione. Sembra che qui il tempo si sia fermato. L’esperienza dello spazio è forte, profondamente toccante. In ciascuna delle tre absidi, che occupano a tutta altezza la parete orientale, è collocato un altare di pietra a forma cubica: nella semioscurità che li avvolge, questi cubi arcaici sembrano opere di Donald Judd. Ciascuna abside riceve la luce dalle tre finestre che si aprono nella volta della parete. L’abside centrale, di dimensioni un po’ più ampie rispetto alle altre, sottolinea delicatamente la composizione simmetrica dello spazio, ulteriormente rafforzata dalla disposizione delle porte.
In mezzo a questo paesaggio naturale, boscoso, aspro, buio e poco accogliente, sembra quasi di percepire lo stupore e il timore reverenziale che doveva provare l’uomo dell’antichità quando si trovava in questo spazio fitto di immagini policrome. Un’esperienza paragonabile a quella che è forse stata –per gli spettatori di oggi i cui occhi e sensi sono colmi di immagini digitali – l’installazione video di Pipilotti Rist Homo sapiens sapiens, presentata nella chiesa di San Stae durante la Biennale di Venezia del 2005.  
Dalle piramidi ai templi e alle cattedrali dell’evo moderno, i luoghi di culto attestano che l’uomo ha sempre aspirato a qualcosa di più del soddisfacimento dei bisogni quotidiani, abitativi, lavorativi. Quelle sacre sono opere che mostrano con efficacia le potenzialità e la capacità dell’architettura di generare spazi che conferiscano dignità e rispetto all’esistenza umana. Né la pittura, né la scultura, e neppure la musica e la letteratura possono rappresentare in modo altrettanto fisico questa esperienza collettiva del divenire e del trapassare che si sedimenta nelle opere costruite.
Mies van der Rohe, citando Sant’Agostino, diceva che l’architettura è ancorata alle leggi eterne del mondo. Naturalmente, questa aspirazione dell’architettura a esprimere nel tempo e nello spazio le capacità umane non vale solo per gli edifici sacri, ma è riferibile anche alle costruzioni destinate all’abitazione e al lavoro.

edificio residenziale Vier Jahreszeiten nella città di Coira
edificio residenziale Vier Jahreszeiten nella città di Coira
inquadramento dell'intero complesso residenziale
inquadramento dell'intero complesso residenziale
chiesa di San Pietro in Mistrail
chiesa di San Pietro in Mistrail
edificio Ovaverva realizzato nel 2014 a St. Moritz
edificio Ovaverva realizzato nel 2014 a St. Moritz
edificio Ovaverva realizzato nel 2014 a St. Moritz
rifugio sul Monte Rosa nella località di Zeimatt, 2009
rifugio sul Monte Rosa nella località di Zeimatt, 2009
rifugio sul Monte Rosa nella località di Zeimatt, 2009