Io e… Unifor

Testo di Pierluigi Cerri

n.2 settembre/ottobre 2018

Il maestro milanese Pierluigi Cerri ci racconta dello straordinario rapporto di fiducia e di complicità che lo lega al mondo UniFor. Quarant’anni di ininterrotta collaborazione e di totale dedizione, tutti dedicati alla costruzione dell’immagine aziendale, hanno costruito una sorta di epopea, capace di realizzare quella formidabile ‘reputazione’ di cose fatte alla UniFor che oggi la identifica dalla ‘cintura della ruggine’ di Milano ai quattro continenti.

Quando alla fine degli anni Settanta fui chiamato alla UniFor dall’ingegnere Piero Molteni, non fu così boom boom, ma un percorso piuttosto lungo. Credo che mi avesse chiamato perché in quegli anni facevo la rivista Rassegna, di cui loro erano sostenitori fin dai primi numeri e io manipolavo, per così dire, le loro pagine di pubblicità. Secondo me mi hanno chiamato sia per la credibilità dell’architetto, della struttura del grande Studio, sia perché hanno capito che me la cavavo anche con i disegnetti, tagliando e incollando, perché allora si appiccicavano le cose. In questo, tra l’altro, si legge l’evoluzione dell’immagine UniFor, nel passaggio dalla manualità del ritaglio alla precisione assoluta data dal computer. Comunque credo che abbia influito più di tutto l’organizzazione dello studio, che in quel periodo aveva tantissimi collaboratori; inoltre le stesse riunioni con i clienti, in quel clima, ci davano da subito una buona credibilità. In qualche modo avevamo una buona reputazione. Ecco mi hanno chiamato per la reputazione. Si sono rivolti in maniera assoluta alla figura dell’architetto e non a quella dello specialista del design; io sono sempre stato violentemente contro la specializzazione. A tal proposito, appena laureato ho fatto un viaggio con una persona che mi portò a San Francisco in un grattacielo di SOM, dove un collaboratore dello studio, molto gentilmente, ci fece fare un giro e ci spiegava “qui facciamo questo, qui quest’altro”; verso la fine io gli chiesi “ma lei esattamente di cosa si occupa?”, mi rispose “io mi occupo di maniglie”, allora io domandai sorpreso “ma come di maniglie?”, lui precisò “sì di tutti i problemi legati alle maniglie”, quindi gli chiesi “ma da quanto tempo?”, rispose “ormai sono trent’anni”. L’idea che qualcuno si occupasse sempre della stessa cosa per trent’anni, mi fece perdere la ragione e cominciai a essere ostile alla specializzazione. Volevo avere la possibilità di variare nel mio lavoro, anche se poco ma di variare, tanto è vero che ho con il graphic design un rapporto che fortunatamente si è formato dagli echi migliori che ho ascoltato, non avendo mai frequentato una scuola. Ho imparato frequentando gente e amici che seguivano i corsi alla Kunstgewerbeschule di Zurigo e Basilea, e con Tomás Maldonado alla Rinascente dove aveva organizzato il nuovo progetto di immagine coordinata con un folto gruppo di allievi della Scuola di Ulm. Così mi sono appassionato, come un dilettante veneto si appassionava alla musica, al graphic design che ho molto praticato mosso dalla mia curiosità.

Con UniFor è stato un lavoro totale, durato talmente che non posso che essere legato a catena doppia a un’industria straordinaria e unica nel panorama internazionale, nella produzione di mobili per ufficio. È un’azienda che opera in un mercato profondamente diverso da quello dei mobili per la casa; in generale si tratta di produrre, su progetto, delle quantità che i mobili per la casa non si sognano neanche. Occorre soprattutto avere una flessibilità tale che ti consenta persino di operare al di fuori della produzione industriale, come in una sartoria: quando si devono arredare dieci piani di un grattacielo di una società importantissima, l’architetto che ha progettato i dieci piani sceglie alcuni sistemi, ma questi sistemi devono essere calibrati in modo tale che l’azienda possa intervenire per rifinire una tasca, chiudere un’asola e fare questo tipo di cose. Ci sono pochissime aziende che hanno un indotto capace, in qualche modo, di intervenire. Quando sono arrivato, UniFor possedeva un sistema, acquistato assieme all’azienda, che si chiamava Modulo 3 e che, visto dal di fuori, era un assoluto capolavoro. Era stato progettato da Bob Noorda e un osservatore, anche non attento, capiva che in quella forma così minimale era contenuta un’idea straordinaria, quella di connettere dei pannelli con un estruso, limitando così tutti i particolari costruttivi che di solito si usano: con un incastro fra due estrusi si dava forma a un intero sistema per uffici. Questo di Noorda era, secondo me, un progetto strepitoso. Quando sono entrato c’era quel sistema e poi, pian piano, nel tempo ci furono dei progettisti molto interessanti con qualità tali da dare un’impronta di riconoscibilità addirittura quasi eccessiva all’oggetto che producevano.

È come se io avessi fatto produrre un tavolo a Ettore Sottsass, qualsiasi persona che fosse entrata in una stanza avrebbe detto “quello è di Ettore Sottsass e non della UniFor”. All’epoca in azienda c’era Tobia Scarpa, uno dei designer più dotati, anche per Dna, dal punto di vista del design e dell’eccellenza dei particolari, e io, che non ho mai capito se nei particolari ci fosse Dio o il diavolo, mi ponevo il problema di inventare un modo di comunicare tutto questo. Ho guardato scavando negli archivi e ho visto la fatica quotidiana per arrivare ad affinare l’immagine in modo da riuscire a definire il logotipo ‘UniFor’ come qualcosa che, nel suo insieme, riuscisse a raccontare la corporate identity intesa come una parola-persona. Una parola, come diceva Franco Fortini, capace di far riconoscere immediatamente tutti gli elementi per cui UniFor aveva la propria reputazione; io amo molto dire reputazione invece che corporate identity, perché quella di una società che poi, in qualche modo, non presta fede alle sue intenzioni, è una corporate identity poco credibile. Invece ‘reputazione’ è un termine abbastanza preciso e indica un progetto guidato dalla necessità, dallo scopo, e da tutti gli elementi che lo regolano per renderlo riconoscibile. In qualche modo doveva essere distinguibile dentro al progetto degli oggetti UniFor; la riconoscibilità da una parte, ma anche la necessità progettuale e lo scopo per cui sono stati realizzati dall’altra. La reputazione identifica dunque qualcosa di preciso e investe la mia reputazione come quella del gruppo. Sfogliando tutti gli elementi della comunicazione – i pieghevoli, i cataloghi, la struttura delle immagini e quant’altro – notavo che nel tempo veniva abbandonata una cosa che potrei chiamare ridondanza di elementi e di colori, in nome di un silenzio costruito per non interferire troppo con il progetto: un rispettoso silenzio verso l’oggetto. L’oggetto in qualche modo si dichiara per quello che è, lo si vede dalle immagini. L’immagine riesce a esprimere interamente gli oggetti della UniFor perché questi sono oggetti compiuti in sé; sono quelli che la gente chiama un po’ superficialmente minimalisti o cose del genere, ma anche la spilla da balia è un oggetto minimalista, perfetta in sé. Questo avvicinamento all’idea che UniFor si esprimesse compiutamente attraverso un particolare ingrandito sulle pagine di una rivista, fa capire che la riconoscibilità dell’appartenenza viene un po’ da lì, da quello che ci si aspetta. E quando emergono piccoli momenti di ridondanza, questa è precipitosamente tolta in nome della chiarezza espositiva. Diciamo che la chiarezza espositiva dovrebbe essere in qualche modo la parola guida. È un po’ come il lavoro di certi artisti che non finisce mai, continuano a togliere e ad aggiungere in nome di un’idea che si ha; in nome di una visione che si ha di un’azienda perché di questo sto parlando, non di una cattedrale gotica ma di un’azienda che si deve esprimere per quello che è, e proprio per questo ha bisogno di nominare le grandi qualità che possiede. È difficile leggere la qualità degli oggetti, non è una cosa semplice. Noi ci esprimiamo principalmente con gli stand delle grandi aziende, legati alle cose che ho detto perché rappresentano lo spazio che riteniamo essere non proprio ideale ma ottimale, quello migliore possibile per organizzare gli oggetti. Questo lo si vede rileggendo tutte le foto fatte per noi meravigliosamente da Mario Carrieri, che è il nostro fotografo privilegiato, e da Gabriele Basilico che all’inizio chiamai a lavorare con noi. Credo che le foto fatte per la UniFor siano tra le poche di Basilico scattate su un set. Mi ricordo la sua precisione straordinaria, che si vede in tutte le sue foto, ma lì era esaltata ancora di più da ciò che fotografava. Dopo abbiamo avuto la fortuna di avere Carrieri, un fotografo di still life, che ha una grande parte nella costruzione dell’immagine della UniFor. La memoria storica della UniFor è costruita da grandissimi personaggi che si vedono solo in comunità di quel tipo. Uno di questi si chiama Giorgio Pogliani che è sia la memoria storica della UniFor sia l’interprete ideale di un design che presenta le cose alla maniera della UniFor: è quello che, in realtà, raddrizza le cose, le mette in una macchina di tipo industriale per la produzione, insomma fa quello che visibilmente i designer non sono capaci di fare. Io stesso che ho progettato parecchi oggetti per la UniFor, alcuni premiati, ho avuto dall’ambiente UniFor, cioè da tutte le persone UniFor, un aiuto straordinario. È come entrare in un posto e imparare una lingua che parlano in pochi e, a mano a mano, la si impara sempre meglio e da quel momento si diventa UniFor. E se ci si allontana troppo da UniFor si hanno delle crisi di astinenza. Nel mio studio ho sempre dedicato un gruppo di collaboratori alla UniFor, per lavorare agli allestimenti concepiti sempre per intercettare l’oggetto, cioè per costruire delle piccole architetture, o degli artifici, in modo tale che l’oggetto miracoloso, il monstrum con il significato latino della parola, possa essere facilmente intercettato e venga in primo piano indipendentemente dall’artificio che lo mette in primo piano. Quindi queste architetture che a prima vista sembrano spoglie, in realtà sono ricche di particolari. Sono architetture pensate per creare uno sfondo silenzioso agli oggetti.

Ho scritto un testo sugli allestimenti come architetture elaborate in cantieri sperimentali che ci consentono di produrre piccole architetture effimere con il massimo delle nostre certezze e incertezze, capacità, significanze ed elaborazioni particolari e sono le uniche architetture che se non piacciono si possono distruggere. Mi sono orientato verso gli allestimenti di interni, verso le piccole architetture, perché sono troppo ansioso per poter affrontare ‘guerre’ di lunga durata. Aspettare vent’anni per vedere la realizzazione di un progetto mi getterebbe nell’ansia. Il fattore tempo, la sua praticabilità, è sempre stata la misura dei miei lavori.

La cosa affascinante dell’allestimento è l’essere un progetto che, in qualche modo, segue le regole della corporate identity e così facendo restituisce spazialmente queste regole concepite in generale per le due dimensioni; allora se si riescono a mantenere le stesse regole all’interno del processo di progettazione dello spazio, si fa bingo e si esalta quella reputazione di cui parlavo. Il segreto per mantenere la reputazione così longeva è il silenzio, questo sfondo silenzioso che consente all’oggetto di diventare primo piano e di essere intercettato. Qui devo rivelare un piccolo stupido segreto. I miei oggetti non sono mai progettati su commissione, sempre per via dell’ostilità che ho della specializzazione, ma in generale il committente di questi oggetti sono io, nel momento in cui mi servono. Il tavolo Naòs, per esempio, è nato perché facendo una boutique per Comme des garçons in via Sant’Andrea, avevo bisogno di un mobile che esponesse piccoli oggetti, per cui ho progettato questo tavolo con un piano trasparente e dei grandi cassetti. Tolti poi i cassetti ho visto che era rimasto un tavolo fatto da un solo estruso e, ingegnerizzato da UniFor, è uscito il Naòs System. UniFor ha vinto due volte il Compasso d’oro, uno per la corporate identity e uno per il Naòs System. Naòs System è stato il prototipo dell’idea del tavolo cablato.

La mia storia con UniFor è una epopea. Per noi che abbiamo un’origine gregottiana, l’idea di verità è sempre presente, come una sorta di ossessione, in tutto quello che facciamo – anche se ogni tanto diciamo delle bugie, però, coscientemente – come in effetti si può vedere dalla successione di costruzione del progetto di immagine coordinata, dal progetto che si riassume in quello che dicevo all’inizio, cioè quest’idea di necessità e di scopo, sempre presente in forma ricca, povera, media ma sempre alla maniera di UniFor: come una società che ha mantenuto in questi quarant’anni una reputazione altissima. Basta il nome.

Tutto questo è stato possibile grazie a un rapporto di fiducia tra le persone, per arrivare poi a una complicità propria di una squadra dove ognuno sa, dove basta uno sguardo, una riga e tutti capiscono. È un po’ come una squadra di calcio ma, qui, siamo con il Real Madrid.

Adesso dico una cosa sproporzionata: il mio riferimento – di cui ogni tanto alcuni mi chiedono e tutti si aspettano che sia Massimo Vignelli, o altri come lui che hanno fatto tantissime cose, molti oggetti e anche interni – è Peter Behrens che pochi, cultori della materia, ricordano, oltre a essere stato un precursore del moderno fu il progettista della AEG negli anni di Walther Rathenau. Fu l’architetto delle Turbinenfabrik, il designer delle Bogenlampe e anche l’inventore del progetto della corporate identity.

Io stesso ho lavorato per grandi fabbriche dell’hinterland milanese in quella che ora viene chiamata la ‘cintura della ruggine’ dove oggi è in atto, bella o brutta che sia, una trasformazione molto veloce in cui si recuperano spazi, e la cintura della ruggine viene rilucidata, si cercano luoghi da rivitalizzare con eventi e nuove destinazioni. C’è una certa euforia a Milano, altrove non è presente. Voglio dire che, in realtà, questo sistema produttivo, quasi dal nulla, ha prodotto quello che si chiama impropriamente design milanese, o made in Italy, o con vari nomi, tutti desemantizzati perché hanno perso oggi il loro significato originale. Tutto ciò è stato creato da personaggi che non erano certo accademici della Crusca ma personaggi venuti, come si diceva una volta, dal nulla, però di un’acutezza e di una intelligenza che io raramente ho trovato invece nei personaggi dell’Accademia della Crusca. Sono stati loro quelli che hanno avuto il coraggio di rendere le loro industrie flessibili e così dinamiche da poter accedere a qualsiasi tipo di progetto.

Il testo è tratto da una conversazione tra Pierluigi Cerri e Nicola Di Battista, Milano, settembre 2018

Pierluigi Cerri
UniFor su Domus
UniFor su Domus
Campioni tessuti UniFor
Brochures UniFor
Tavolo LessLess Nouvel
Mobile Totem Nouvel
Tavolo Naòs Cerri
Scrivanie Naòs Cerri
Showroom UniFor a Milano
Tavolo Naòs Cerri dall’alto
Dettaglio tavolo Naòs Cerri
Dettaglio Modulo 3 Bob Noord
Allestimento showroom UniFor Milano
Stand UniFor Orgatec
Interno stand UniFor Orgatec
Interno stand UniFor Orgatec
Interno stand UniFor Orgatec