Antonio Citterio nel suo studio

Io e… B&B Italia

Testo di Antonio Citterio

n.3 novembre/dicembre 2018

Uno dei maggiori protagonisti del design milanese, Antonio Citterio, ripercorre la quarantennale storia, unica e irripetibile, che lo lega alla B&B Italia, dall’approccio artigianale degli inizi fino all’odierna produzione di tipo industriale. 
È una storia di creatività, intrecciata alle mille vicende umane, resa possibile grazie alla fiducia, alle competenze, all’assunzione di responsabilità di un team di persone mosse da un’unica visione: migliorare la vita degli uomini.

Negli anni Settanta ho iniziato come designer quando ancora ero studente alla facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, durante il periodo della grande contestazione.

In quegli anni il progetto nell’ambito del design era visto come molto radicale, espressivo. In Italia, negli anni Settanta, la professione di designer a volte era distante dalla realtà industriale, la ricerca insomma era separata dall’industria. C’erano dei designer molto espressivi, che indicavano una strada precisa, tutti orientati all’idea di ‘innovazione’ nell’ambito del design. Esisteva poi un’altra scuola di pensiero, che arrivava dall’America degli anni Cinquanta-Sessanta, dove la figura del designer operava all’interno del mondo industriale. 

Il mio lavoro iniziale era legato a prodotti che guardavano al protorazionalismo europeo e a quelli originatisi dalla cultura americana degli anni Cinquanta-Sessanta (Charles e Ray Eames, in primis), mi interessava quella scuola di pensiero dove il rapporto tra design e industria non era conflittuale.

Mentre studiavo architettura ho imparato a fare il designer facendolo, perché il primo studio che avevo aperto a Monza negli anni Settanta, con altri colleghi, in realtà più che uno studio era un grande laboratorio dove c’erano più banchi da lavoro che tecnigrafi. La storia di quei tempi è un po’ irripetibile, soprattutto nel mondo attuale. Penso che debbo molto a Piero Busnelli, fondatore della B&B Italia: la prima architettura che ho realizzato è stata la sua casa, a trentadue anni. 

Piero era un grande imprenditore ed era deciso a rivoluzionare il processo produttivo del design da artigianale a industriale, pronto a sperimentare nuovi materiali e nuovi processi produttivi. Quando sono arrivato alla B&B Italia ho trovato già una grandissima azienda che contava molti architetti importanti come Tobia Scarpa, Mario Bellini, Gaetano Pesce, Vico Magistretti, che avevano dato un’impronta particolare all’azienda, con una forte discontinuità di linguaggio. L’aver accolto così tanti architetti poneva la B&B Italia in una posizione privilegiata nel campo del design, dove la cultura dell’arredamento di quegli anni era fatta di una vicinanza di oggetti e non di una visione complessiva. Forse il mio apporto maggiore è stato proprio quello di accompagnare l’azienda, in quel momento particolare, ad affermare in modo sempre più preciso e forte la connotazione del brand. La storia del design è sempre una storia di persone, di famiglie, di un momento in cui un team ha una visione comune. 

Sono anche racconti di vita costruiti nell’arco di decenni e condivisi con persone, abili e competenti, come Rolando Gorla, Federico Busnelli e poi Ambrogio Spotti. Il Centro Ricerche della B&B ha avuto e tutt’ora ha una grande importanza nello sviluppo dell’azienda, essendo il luogo dove avviene lo sviluppo delle idee, dove si realizzano i prototipi, si sperimentano nuove soluzioni tecnologiche. Bastava uno sguardo per capire se una cosa funzionava o meno; non c’era neanche bisogno di disegnarla. Si lavorava e si prendevano decisioni insieme, e poi si tornava sulle nostre riflessioni, c’era uno straordinario rapporto tra tutte le persone. 

Con Giorgio Busnelli ho avuto un rapporto privilegiato, di grande fiducia e di condivisione, al punto quasi da non saper più chi fosse il designer e chi l’industriale. È stata una storia di relazioni, di visioni, prima che di marketing. In quegli anni passavo delle giornate in azienda, e ho sviluppato la mia conoscenza lavorando direttamente con il personale del Centro Ricerche; lì vedi i dettagli dal vero, e capisci i materiali che hai a disposizione, come è giusto usarli, e che non sempre l’idea della manualità, della semplicità, corrisponde a un’economia del prodotto.

Le persone con le quali ho iniziato a collaborare all’epoca oggi cominciano ad avere tanti anni sulle spalle, nel 2014 è mancato anche Piero Busnelli e mi rendo conto che il gruppo con cui ho condiviso questa avventura, me compreso, inevitabilmente sta invecchiando. Ognuno di noi, con la propria specificità, insieme ad altre qualità, ha contribuito a costruire un team eccezionale, come sempre avviene quando persone diverse lavorano con una visione comune.

Nella metà degli anni Ottanta ho sentito la necessità di introdurre un concetto di showroom derivato dalla modalità di presentazione tipica della moda, maturando una sorta di intuizione che oggi sembra banale: bisognava avere un vasto ambiente all’interno della fabbrica per lavorare sulla collezione a 360 gradi, dai materiali alla grafica, dal visual ai tessuti. 

Bisognava in pratica costruire una sorta di linguaggio in grado di creare un’immagine unitaria; da lì inizia un notevole lavoro per rapportare i prodotti l’uno all’altro. Da un mondo di prodotti singoli cominciava a formarsi un’idea di collezione B&B Italia: in termini di materiali, di tessuti, di colori, di forme. Oggi diversi architetti collaborano con B&B, eppure rimane una sorta di stile riconoscibile legato innanzitutto all’idea di una serie di prodotti senza tempo. All’interno della società madre poi, Maxalto è stata forse l’operazione più precisa, perché disegnata e coordinata tutta da me. Questa idea è forse ancor più rappresentativa del concetto di cui stavamo parlando: essendo una collezione che ha un solo architetto, è stato più facile mantenere negli anni una sorta di identità.

Il mondo del design non è quello che definisce determinati dettagli, questa è una visione romantica e comunque non è la mia professione. Il mio lavoro in B&B Italia è a 360 gradi e spesso propongo direzioni, per esempio, per quale tipologia di prodotto optare, dove fare il prossimo showroom, o proposte per la comunicazione. Molti svolgono questo mestiere in qualità di art director di aziende. Io non sono un art director per B&B, perché in un certo senso lo eravamo tutti noi. In B&B non c’è mai stata una figura simile, forse solo negli anni Settanta, con Enrico Trabacchi, straordinario grafico, che è purtroppo mancato giovanissimo; comunque è stato l’unico art director che ho conosciuto in azienda. Dopo di lui, su mio suggerimento, si è preferito avere uno studio grafico interno all’azienda, che secondo me, doveva rappresentare la cultura complessiva di B&B Italia. Il discorso sulla grafica e sulla pubblicità era troppo delicato per affidarlo all’esterno. In seguito il nostro gruppo ha sentito anche la necessità, importantissima, di avere la figura dello stylist, qualcuno che mettesse insieme tutte le cose, con coerenza, ed è stato così che nel 1995 abbiamo trovato Paola Carpineti, all’epoca direttrice di Casa Vogue. Il suo apporto è stato fondamentale per B&B e abbiamo organizzato dei saloni del mobile straordinari, con una grafica all’avanguardia; sono stati degli anni veramente dirompenti sia per l’immagine sia per la qualità. Il successo della critica è arrivato copioso, ma è arrivato molto prima il successo del pubblico e sono diventato l’architetto di riferimento dell’azienda.

La mia storia con il design ha oramai oltre quarant’anni e negli ultimi dieci ho visto tutto cambiare, diventare più veloce. Il rapporto con Vitra, per esempio, è mutato allorché il processo di prototipazione è stato affidato alle macchine a controllo numerico: non posso più andare con uno schizzo, gli devo mandare delle matematiche. In passato il capo del centro ricerca Vitra non voleva disegni, ma schizzi, poi con i modellisti si facevano i modelli, di legno o di alluminio, e alla fine si producevano i disegni. 

Cosa è cambiato veramente, come le aziende si sono strutturate nel momento di grande successo del design italiano che ha segnato la storia milanese? Come per certi aspetti cambierà ancora? Avendo insegnato parecchi anni all’Accademia di Architettura di Mendrisio, ho incontrato molti giovani con delle grandi capacità e attitudini al progetto, e forse questo lascia ben sperare per il futuro. Non posso affermare che la mia generazione sia più interessante, certo è che le condizioni sono obiettivamente differenti. I giovani hanno di più, però, nello stesso tempo non hanno la possibilità di sperimentare, allora c’era più sperimentazione, si facevano ricerche su modelli di vita innovativa, su una certa idea di modernità, di futuro, magari oggi si fanno sperimentazioni più sofisticate e l’invenzione di una startup è centomila volte più performante rispetto a quella che facevamo noi in modo artigianale. Il mondo non si ferma. 

La mia teoria nell’ambito del design, che ripeto da sempre, è che la creatività è parte integrante del processo industriale, è dentro. La creatività fine a sé stessa non è più sufficiente, non può essere dissociata dal sistema industriale. Quando noi sposteremo la produzione la creatività si sposterà, sono convinto che tra vent’anni i designer più bravi saranno i cinesi o altri, perché la creatività è una parte integrante del processo industriale, non è solo produttiva ma racchiude la complessità del disegnare, produrre, fotografare, vendere. E tutto ciò sarà possibile fino a quando avremo un sistema strutturato su designer-industria-salone del mobile-pubblicità, un sistema con le sue regole dove tutto si rapporta e si tiene vicendevolmente. Oggi è cambiata la percezione comune del tempo, e questo inevitabilmente porterà a un nuovo modello produttivo che metterà in moto un processo di distribuzione mondiale del tutto differente, più corrispondente alla rapidità dei tempi di consegna che il mercato si aspetta. Se si è in America e si ordina un divano B&B Italia, oggi per averlo occorrono circa tre mesi, dalla scelta del tessuto alla produzione e infine alla spedizione tramite nave. Questo non è accettabile: quando si ordina una cosa su Amazon la si vuole il giorno dopo. Questo porterà a cambiare la produzione, che dovrà svolgersi in Europa, in America e in Cina, magari producendo lo stesso modello in tre situazioni diverse, soprattutto se il prodotto ha delle grandi dimensioni. Sento quasi concluso il mio lavoro nella forma descritta sopra perché non riesco più a dedicare tutto il tempo che dedicavo una volta a questo mestiere, oggi è improponibile, ma questo certo non vuol dire che terminerà il mio lavoro di designer, piuttosto cambierà.

Il nostro mestiere è diventato sempre più complesso e se ci credi davvero non puoi che pensarlo in prospettiva di un mondo migliore. L’architetto, il designer, è qualcuno che crede in quel che fa e pensa sempre al benessere della comunità, al problema dell’ecologia, alle centinaia di dipendenti che realizzano i suoi progetti; contribuisce in qualche modo a mantenere un certo tipo di ricchezza in un territorio, con delle responsabilità precise e chiare. Non si fa un oggetto o un’architettura perché si vuole emergere a ogni costo, ma per essere partecipe di quel passaggio prendendo una cosa e portandola avanti. Questa è una condizione fondamentale per descrivere il nostro mestiere, ma, in fondo, è la direzione nella quale hanno lavorato tutti i grandi maestri, da Charles Eames ad Achille Castiglioni. C’è oggi una situazione economica che non permette più di produrre in un certo modo, perché il costo della mano d’opera italiana – ed europea – è significativamente cambiato. Se si guarda alla storia del design fino ai primi anni Sessanta, notiamo due grandi fenomeni, quello americano e quello dei paesi scandinavi. Successivamente la produzione si è spostata dove il lavoro costava meno, verso la Germania, poi in Italia – nel futuro, forse, dall’Italia andrà in Turchia… Ricordo che ero andato insieme con Ettore Sottsass alla presentazione del concorso per il progetto del Lingotto a Torino e l’avvocato Agnelli già allora aveva fatto questo ragionamento, affermando che l’economia avrebbe guidato la produzione verso località dove la mano d’opera sarebbe costata meno, per cui dal nord, dove produrre costava di più, sarebbe scesa verso il sud, spostandosi man mano sempre più giù – ricordo che aveva detto qualcosa del tipo “il mondo è rotondo e l’unica cosa da fare è aspettare che finisca il giro”.

Ecco, forse per noi oggi la speranza è quella di diventare la Cina dei prossimi anni, nel senso di tornare a produrre come la Cina ha fatto negli ultimi decenni.

Il testo è tratto da una conversazione tra Antonio Citterio e Nicola Di Battista, Milano

Antonio Citterio nel suo studio
Normografo Antonio Citterio
Antonio Citterio e Piero Busnelli
Sedia Jens per B&B Italia Antonio Citterio
Stand B&B Italia al Salone del Mobile Citterio
Stand B&B Italia al Salone del Mobile Citterio
Centro ricerche B&B Italia
Chaise longue Antonio Citterio
Seduta Ribes Antonio Citterio
Seduta Ribes Antonio Citterio
Interno del Centro Ricerche B&B Italia
Divano Diesis Antonio Citterio
Divano Diesis Antonio Citterio
Divano Diesis Antonio Citterio
Pubblicità B&B Italia
Poltrona Mart Antonio Citterio
Poltrona Mart Antonio Citterio
Dettaglio scrittoio Max Antonio Citterio
Quadrante Antonio Citterio Paolo Nava
Libreria Domus Antonio Citterio
Elios Antonio Citterio