
Il restauro del palazzo dei Gonzaga a Guastalla
n.5 settembre/ottobre 2019
L’esemplare restauro del Palazzo più rappresentativo di Guastalla, rimasto fino a oggi quasi del tutto inedito, diventa per Massimo Carmassi un vero e proprio manuale della sua maniera di lavorare, che gli ha permesso nel tempo di perfezionare una pratica con cui ottenere un certo equilibrio senza mai fare più del necessario
L’attività di restauro degli antichi edifici vincolati in Italia è regolata dalla Carta del Restauro del 1972 le cui norme, ‘da definirsi senz’altro auree’, sono composte da 12 articoli secondo i quali le Soprintendenze approvano i relativi progetti controllandone l’esecuzione. L’articolo 6 definisce alcuni criteri per la progettazione tra i più controversi della Carta, la cui attuazione evidenzia contraddizioni insanabili, testimoniate da approcci opposti in innumerevoli esempi di restauro. In particolare il comma 1 dell’articolo 6 dichiara che “sono proibiti indistintamente i completamenti in stile o analogici, anche in forme semplificate e pur se vi siano documenti grafici o plastici che possano indicare quale fosse o dovesse apparire l’opera finita”. L’esperienza documenta invece intelligenti ricostruzioni di luoghi distrutti durante la guerra come il bellissimo ponte Santa Trìnita a Firenze e il ponte di Castelvecchio a Verona, seppure dopo molte discussioni e polemiche. Più recentemente è stato ricostruito ‘com’era, dov’era’, come si dice, il Teatro La Fenice mentre qualche anno prima lo stesso architetto Rossi aveva ricostruito gli interni del Teatro Carlo Felice a Genova secondo gli stilemi della nuova architettura e con una nuova torre scenica che domina la città.
Non siamo certo contrari all’inserimento di addizioni contemporanee dove sono necessari elementi, come scale di sicurezza, servizi igienici, ecc. disegnati con cura, ma si può forse sostenere che monumenti dalla forma elementare e oggetto di valore identitario per un certo luogo possano essere ricostruiti seguendo il modello distrutto per le più varie cause – terremoti, incendi, bombardamenti – mentre risulterebbe difficile ricostruire complessi molto stratificati in un lunghissimo tempo e caratterizzati da un’infinita ricchezza volumetrica e materiale senza ricorrere a semplificazioni eccessive, con il rischio di offrire effetti vernacolari privi di ogni parvenza di autenticità.
Per gli interni di edifici antichi di età molto avanzata, come capita nelle città di origine medievale se non addirittura romana, si pone invece il problema di una loro conservazione rigorosa valorizzando tuttavia le complesse stratificazioni stilistiche e materiali, e favorendone la lettura storica come in un’indagine archeologica.
Questo è quanto abbiamo fatto con il restauro del Palazzo Ducale di Guastalla, la cui costruzione è iniziata nella seconda metà del Cinquecento per un ramo cadetto della famiglia dei Gonzaga, che si presta più di altri nostri lavori, di modesta dimensione, a esemplificare i metodi da noi adottati negli interventi di conservazione e valorizzazione. Nato come un anello a pianta quadrata a due piani, con cortile centrale porticato, alla fine del Settecento è stato sopraelevato di un piano. Alla fine dell’Ottocento per risolvere gravi problemi strutturali i due grandi saloni a doppia altezza del primo piano sono stati suddivisi in molte stanze favorendo la sopravvivenza del palazzo con un intervento di scatolarizzazione su due piani.
All’inizio dei lavori nel 2003 tutte le cento stanze, a eccezione di qualche volta decorata, erano dipinte di bianco come è avvenuto ovunque in Italia attraverso un lungo processo di impoverimento economico, culturale e di abbandono. Dopo una estesa e approfondita campagna di saggi stratigrafici è stato possibile appurare la prevedibile esistenza di diversi strati di decorazioni sovrapposti tra loro nella parte più antica, e di un solo strato negli ambienti nati con la realizzazione più recente della sopraelevazione.
Nelle stanze più stratificate, come nella stanza voltata a piano terra dove abbiamo trovato quattro strati sovrapposti, ci siamo fermati alle scoperture del primo strato lasciando finestre più profonde, più o meno casuali durante i lavori, consentendo la lettura del processo di stratificazione che in molti casi diviene un’occasione di arricchimento estetico.
Nelle sale di più recente costruzione la scopertura evidenzia una sola decorazione completamente conservata, salvo minime integrazioni. La sequenza di stanze decorate in modo diverso determina effetti molto suggestivi attraverso l’infilata di porte.
Tutti i pavimenti cinquecenteschi in cotto di forte spessore e di forma quadrata disposti in diagonale sono stati rimossi e accatastati solo nei casi nei quali è stato necessario consolidare i solai e le volte sottostanti, e rimessi poi in opera rispettando lo stato primitivo.
Alcune parti del palazzo che avevano perso i pavimenti originali sono state pavimentate con mattoni appositamente formati con le costole leggermente inclinate verso l’interno per consentire una posa senza filo di malta a vista come in passato. Due scale nascoste dai pavimenti sono state recuperate come scale di sicurezza dal primo piano al piano terra, attrezzate con ringhiere elementari di quadrelli a somiglianza di quelle antiche.
Dalla fine dell’Ottocento il Palazzo è di proprietà della famiglia Mossina, nota per avervi insediato gli uffici della prima fabbrica di compensati in Italia, disposta nel grande cortile esterno. Nel 1908 consolida e ristruttura l’edificio proteggendo la corte con una copertura in ferro e vetro, dotando il primo piano di un ballatoio in legno di distribuzione degli ambienti perimetrali della corte. Anche in questo caso abbiamo conservato la situazione esistente con interventi di consolidamento e restauro conservativo, completando alcune lacune della pavimentazione alla veneziana a piano terra, che espone al centro in cornice il nome della ditta e la data di esecuzione.
In un tempo imprecisato, sul lato nord del piano terra, mediante la demolizione di due murature che separavano tre stanze adiacenti voltate e decorate, era stato ottenuto un lungo salone utilizzato nel dopoguerra come cinema con galleria e abbandonato da anni in condizioni di grave degrado, con il pavimento in legno disposto direttamente sulla terra ridotto in polvere dalle termiti, come tutte le parti in legno del palazzo, il cui risanamento ha richiesto un costoso intervento di disinfestazione.
Il cinema, il cui ingresso avveniva dalla piazza, con alcune altre stanze sul lato ovest, era destinato ad accogliere una banca locale. Dopo la scopertura di frammenti di affreschi, il salone, dedicato ai rapporti riservati con il pubblico, era stato attrezzato con scatole di ottone e vetro di altezza molto inferiore rispetto a quella dell’ambiente che le accoglieva, disegnate e realizzate con molta cura da un bravissimo fabbro, appoggiate direttamente sul pavimento di cocciopesto senza alcun vincolo fisso, climatizzate attraverso bocchette per il ricambio d’aria calda o fredda.
In tutto il palazzo non sono presenti altre nuove addizioni interne a eccezione di una serie di mensole nella torre libraria del primo piano costruite con quadrelli 14 x 14 mm e collegate da una scala a chiocciola formata dallo stesso tipo di profilo.
Le funzioni da accogliere all’inizio dell’incarico erano la biblioteca comunale, il museo della città e una banca. Alla fine la biblioteca è rimasta nella sua sede attuale, mentre diversi uffici comunali hanno occupato molti degli ambienti disponibili insieme a un ristorante e a un bar. Come in molti altri casi di restauro di edifici pubblici, per l’incertezza delle funzioni da accogliere a restauro concluso o addirittura durante i lavori preferiamo adottare una certa neutralità funzionale disponibile a inevitabili cambiamenti di programmi. I quattro lati esterni dell’edificio sono stati definiti secondo due criteri. La facciata orientata a ovest verso lo spazio pubblico, assai brutta a causa della sistemazione ottocentesca che vede decentrata verso sud la parte mediana più alta rispetto alla piazza, è stata intonacata e dipinta ex novo a base di terre naturali per rispettare l’omogeneità del contesto. Il colore, pur imitando quello dei pochi lacerti esistenti, è troppo vivo e non omogeneo. Dopo lo smontaggio dei ponteggi ci siamo accorti che il colore delle ali più basse è leggermente diverso da quello scelto per la parte centrale. Gli altri tre lati, nascosti da strade secondarie e dal giardino, già quasi del tutto privi di intonaco salvo macchie isolate che abbiamo conservato, sono stati mantenuti con le superfici in mattoni a vista per mettere in evidenza le aperture arcuate tamponate della facciata est, oppure come quelle dello scalone principale liberate dai tamponamenti, che facevano parte di alcune superfetazioni addossate, sebbene muniti di parapetti dotati di colonnine di marmo lavorato.
Pulendo le facciate in mattoni abbiamo scoperto a distanze regolari le sequenze di teste rotte delle mensole che sostenevano la cornice del tetto, delle quali erano stati trovati due campioni nell’estradosso di alcune volte. Alcuni indizi come il rinvenimento di piastre di cotto decorate – usate rovesciate come pavimento della cappella – che collegavano tra loro le mensole, o la scoperta di una superficie dipinta a diamanti, nascosta dal riempimento della volta di calpestio della cappella sullo spigolo nord del palazzo, insieme alla finestra, dipinta a trompe l’oeil sullo spigolo sud-est dello stesso e rivelata dalla pulizia della superficie di intonaco, hanno consentito di ipotizzare il disegno delle facciate del palazzo rinascimentale.
La demolizione delle superfetazioni e di alcune baracche cadenti ha suggerito di recuperare l’aspetto disordinato del lato sud consolidando le grandi mensole marmoree incastrate nella muratura in modo da consentire la realizzazione del piano di calpestio dell’antico terrazzo con tavole di legno di forte spessore, più leggere delle pietre originali andate perdute. L’ala sud più bassa, che contiene un grande ascensore, è collegata ai due piani della parte centrale dell’edificio da due passerelle di muratura di mattoni e ringhiere di quadrelli di ferro, sostenute da archi semiellittici. La stessa ala era costituita in origine a piano terra da un unico spazio voltato aperto verso il cortile, con cinque alte aperture ad arco ritrovate sotto il rivestimento di compensato che sono state liberate dai tamponamenti. La muratura che divideva il salone è stata demolita con i necessari lavori di consolidamento.
Per concludere queste brevi note vorremmo sottolineare come, nonostante l’edificio da noi restaurato sia piuttosto povero di emergenze architettoniche singolari, sia stato possibile ottenere notevoli livelli di qualità ambientale attraverso la valorizzazione delle stratificazioni nascoste e il disegno accurato delle poche moderne attrezzature necessarie, che contribuiscono a determinare insieme una particolare atmosfera densa di sfumature e di ricordi della lunga vita passata, compatibili con un futuro imprevedibile.






























