
Fantoni e lo studio Valle
Testo di Paolo Fantoni
n.1 luglio/agosto 2018
L’edificio industriale Plaxil 8 si pone come nuovo segno ordinatore in grado di riattivare una rinnovata relazione tra i vari fabbricati del campus di Osoppo.
Con questo edificio dalle dimensioni eccezionali simili a quelle di una nave, riprende un discorso incominciato oltre cinquant’anni fa tra la famiglia Fantoni e lo studio Valle.
La genesi del fabbricato produttivo Plaxil 8 arriva in un momento storico in cui giungono a maturazione una serie di stimoli che sono alla base dell’ideazione, del progetto e dell’intensità dell’investimento. Oggi, ripensando a questa storia, direi che due elementi sono fondamentali: il primo di strategia aziendale, il secondo legato a una specifica richiesta del mercato dell’arredo. La nostra azienda ha l’onore e l’onere di avere introdotto in Italia la tecnologia del Mdf – Medium density fibreboard, pannello di fibra a media densità – in quanto mio padre ha conosciuto questo materiale negli Stati Uniti durante una serie di visite nel 1975-76. Attratto dal potenziale di questo nuovo materiale a base di legno, si era speso, alla fine degli anni Settanta, nella realizzazione del primo impianto italiano: il famoso Plaxil 4. All’epoca, era uno dei tre impianti europei di produzione di pannello Mdf entrati contemporaneamente in attività. La nostra azienda ha avuto, nel mercato nazionale, un ruolo importante nel divulgare l’uso di questo nuovo pannello e si è resa promotrice dello sviluppo, a valle, delle tecnologie d’uso di questo prodotto che hanno visto l’Italia determinare una serie di soluzioni molto innovative.
Certamente l’uso del pannello Mdf, per le sue caratteristiche di laccabilità e di poliesterabilità, è stato un elemento eclatante, ma non solo per questo. Un altro elemento caratteristico, diventato uno degli assi importanti dell’industria italiana del mobile, è stato lo sviluppo delle antine polimeriche – fatte con un pannello Mdf nobilitato nel lato retro – bianche e rivestite una volta pantografate di Pet o inizialmente anche di Pvc, provocando una vera rivoluzione tecnologica e culturale in tutto il mondo delle cucine.
Questa posizione dominante sul mercato nazionale si è poi articolata attraverso un secondo impianto realizzato nel 1984; il primo era entrato in funzione cinque anni prima. Ci sono stati alcuni investimenti anche nel Sud Italia, ad Avellino, con la nascita del primo impianto della Novolegno, nel 1980, e il secondo nel 1997, sempre della Novolegno, fino al consolidamento di questa leadership attraverso una estensione dei nostri interessi nella vicina Slovenia con l’acquisizione, nel 2002-03, dell’azienda Lesonit. La leadership nello sviluppo di questo prodotto che noi vantiamo nel mercato nazionale, ha dovuto a un certo punto essere sostenuta da un cambio di passo. Le vecchie linee di produzione con le presse multivano tipiche degli anni Settanta e Ottanta, hanno dovuto arrendersi alla nuova generazione di presse continue di laminazione; chiaramente a Osoppo, i vecchi impianti Plaxil 3, Plaxil 4 e Plaxil 5 stavano arrivando a una situazione di obsolescenza che non era solamente economica ma, anche, tecnica.
Tutto questo avveniva a ridosso della grande crisi italiana del 2010-11 che ci ha costretto a considerare la necessità di rilanciare e riscommettere nel futuro del Mdf, in un momento in cui le condizioni del mercato non erano affatto positive, a differenza di quanto avverrà, un po’ alla volta, negli ultimi anni. Questa scelta, che maturavamo da qualche tempo, non sarebbe stata opportuno affrontarla nel pieno della crisi del 2010-11. Quando si considera la scala dell’investimento, penso si possa capire l’interrogativo che ci si pone riguardo se si sarà capaci o meno; ma questo non era il nostro caso, tanto legato a fattori interni quanto a valutazioni sul periodo che stava attraversando l’Italia e l’Europa. Abbiamo un Consiglio di amministrazione che si riunisce abbastanza frequentemente composto dai famigliari e non, dove ci si confronta e si costruisce un percorso; siamo arrivati naturalmente alla considerazione condivisa che era indispensabile fare un salto, e questo è avvenuto in maniera naturale, non forzata; anche da parte di mia madre non c’è stato alcun ammonimento. Io e mio fratello abbiamo un’età matura, siamo ormai arrivati ai sessant’anni; la decisione presa cinque anni fa non è stata una decisione difficile ed è arrivata scontata, maturata, è un po’ come la decisione di avere un figlio. Quando uno è giovane pensa ‘Come si fa a mettere al mondo un figlio?’; invece, poi, arriva come un qualcosa di abbastanza naturale.
Alla contingenza di scelte strategiche sulla necessità di dover preservare una leadership nel mercato del Mdf, se ne affiancava una seconda legata molto al luogo, alla nostra realtà di Osoppo, e al fatto di voler continuare a privilegiare la centralità di questo sito che, da sempre, vede nella figura dello studio Valle – in particolare dell’architetto Gino Valle – l’artefice di un progetto con una sua continuità di carattere linguistico, una lezione di architettura. Queste architetture, per noi, sono molto più che un semplice riparo di materiali, bensì costituiscono un segnale molto forte, sia nei confronti dell’esterno sia dell’interno, di quella che è una cultura aziendale che inperversa tutto il nostro modo di essere e diventa parte anche della cultura dei nostri collaboratori e che è alla base della nostra comunicazione.
Quando Gino Valle è mancato, nel 2003, ci sentivamo, aziendalmente e in famiglia in particolare, orfani di una figura che ha dato, attraverso la sua collaborazione con mio padre, un’impronta molto forte a tutto il campus di Osoppo. Ci siamo posti la domanda di come continuare un discorso dove ci imbarazzava mettere assieme delle culture diverse a progettisti che avrebbero dovuto soffrire un confronto o la condivisione di una filosofia, forse, non del tutto partecipata. In questo abbiamo avuto l’opportunità, in prima battuta, di affidare al figlio di Valle, Pietro, il rifacimento della nostra mensa aziendale: è stata un po’ come un test d’ingresso per capire il grado d’intesa e qualora si condividessero gli stessi percorsi. È stato il successo di questa prima iniziativa di riqualificazione della mensa che ci ha dato sicurezza nell’affrontare, con lui, il progetto del Plaxil 8. In questo edificio abbiamo continuato a condividere un risultato finale che è molto leggibile e fa parte del Dna di Gino Valle nel campus di Osoppo, sviluppato nel corso del tempo in circa 16 interventi storici, non ponendosi mai l’obiettivo di ripetere l’uso degli stessi materiali o degli stessi stereotipi.
Valle ha realizzato a Osoppo un percorso di manufatti d’architettura che, partendo da materiali poveri – unico elemento conduttore della sua architettura – hanno raffigurato delle configurazioni nuove che non lasciano intendere una continuità di forme, ma di lettura critica e di ideologia di fondo nell’uso dei materiali che, anche nel caso di Pietro Valle, abbiamo potuto conseguire nell’involucro dell’edificio Plaxil 8.
Dal punto di vista architettonico-ingegneristico, c’è stato un forte contributo personale da parte dello studio di Pietro Valle perché, per la prima volta, nella nostra esperienza imprenditoriale, l’edificio supera il principio di una struttura architettonica avulsa dalla struttura che sorregge i macchinari. In questo caso la struttura della linea di produzione del Plaxil 8 è stata ingegneristicamente concepita in maniera tale da essere solidale con la struttura edilizia e con quella metallica che sostiene e dà corpo all’intero edificio del Plaxil 8, così da ottenere delle sinergie statiche e portanti che nascono dalla compenetrazione delle strutture. Questo rimane senz’altro un contributo e un esercizio innovativo sperimentato con Pietro Valle, dove chiaramente alla parte architettonica fa da contraltare un’importante presenza ingegneristica della soluzione impiantistica che trova nei fornitori tedeschi della Dieffenbacher, gli artefici di una realizzazione che in questo momento è unica in Europa. La pressa del Plaxil 8 è la più lunga e più grande d’Europa nella produzione di Mdf, ma alla capacità della Dieffenbacher si è unita anche, soprattutto da parte di mio fratello Giovanni e di mio nipote Marco, la ricerca di una serie di soluzioni che erano tecnologicamente compatibili con il sapere della Dieffenbacher. Ricordo che nella visita in azienda che hanno fatto con il loro staff maggiore, nel luglio dello scorso anno, ci hanno detto: “È il più bell’impianto che abbiamo fatto finora”. Questo ci ha molto gratificati essendo loro, nel mondo, i numeri uno per la realizzazione di questo tipo di impianti. Il rapporto di reciproca fiducia e di stima ci ha permesso di sviluppare soluzioni innovative nella produzione di questo pannello su più aspetti: innanzitutto, quello della pulizia e della raffinazione della fibra; inoltre, quello di aver realizzato un materasso differenziato in tre strati che ci consente di favorire la qualità superficiale, rispetto a un utilizzo di materie prime meno nobili nella parte centrale del pannello.
A questi aspetti si aggiunge una fortissima attenzione in ambito ambientale con una limitazione nell’uso di risorse ambientali: l’impianto è concepito e collegato con un’importante centrale a biomassa in modo che il consumo di gas di questa nuova unità produttiva sia sostanzialmente, non dico azzerato, ma ridotto a livelli veramente minimi.
Esistono dunque una certa temporalità, una certa necessità di una risposta strategica aziendale e una serie di coincidenze storiche alla base della collaborazione con lo studio Valle e del desiderio di continuare a esprimere, in questo campus, determinati valori di architettura che sono, per noi, non un mero esercizio estetico, ma anche un biglietto da visita che vuole rappresentare il Dna della nostra azienda.
Noi abbiamo dei figli che sono distribuiti nelle responsabilità aziendali in maniera abbastanza variegata. In questo momento, Marco è la persona che segue maggiormente gli aspetti tecnici e impiantistici, e si è buttato in questo progetto a piene mani, totalmente; è stato il protagonista nel confronto insieme ai fornitori per quanto riguarda le scelte impiantistiche. Gli altri hanno dovuto comunque rimboccarsi le maniche, visto che il periodo attraversato era di intensissimo sforzo da parte di tutti nel cercare di recuperare il terreno che la crisi degli anni 2000-13 aveva fatto perdere. Ognuno nel proprio settore – commerciale, amministrativo, progettuale – ha avuto un gran da fare, anche se il loro contributo nella nascita del progetto è stato meno evidente.
Noi crediamo invece nel percorso che abbiamo fatto e nei valori che abbiamo, un po’ alla volta, messo sul tavolo con una coerenza di pensiero che non riteniamo essere semplicemente parte di una struttura architettonica, ma parte anche di un pensiero aziendale, parte di una condivisione. Sono arrivato a dire, umoristicamente, a Gino Valle che era entrato nel Dna della nostra famiglia ma, anche, in quello dei nostri collaboratori, proprio perché chi vive in questo campus le dodici ore migliori della sua giornata, un po’ alla volta, assorbe una certa filosofia che fuoriesce dalle scelte dei materiali, dei dettagli, fino a far parte della nostra cultura, della nostra identità. È chiaro che questi elementi architettonici importanti fanno parte di una nostra comunicazione all’esterno ma anche di quella nostra all’interno. Penso che il mondo dei progettisti e dei nostri committenti, visitando Osoppo – ed è un esercizio che evidentemente premiamo, stimoliamo, e facilitiamo – trovano nella lettura di questa architettura un’assonanza con dei principi da condividere o comunque con i quali confrontarsi.
Il testo è tratto da una conversazione tra Paolo Fantoni e la redazione, giugno 2018








