
Anti ‘Panoramica’
n.4 luglio/agosto 2019
Uno dei più importanti storici dell’architettura, Giorgio Ciucci, dedica il suo ultimo lavoro all’architetto comasco Cesare Cattaneo, proponendo una avvincente ricostruzione dei suoi progetti sul tema della casa isolata. Presentiamo ai nostri lettori il progetto più innovativo e rivoluzionario che Cattaneo ha ideato sulla questione dell’abitare, la Casa-famiglia per la famiglia cristiana del 1942, accompagnato da un suo famoso
e polemico testo Anti ‘panoramica’
Sfogliando le prime pagine del bel libro di Diotallevi e Marescotti Ordine e destino della casa popolare (editoriale Domus) mi sono soffermato sul nitido riassunto delle case dell’epoca egiziana, greca e romana; dove gli schemi fondamentali delle planimetrie, riportati da altri autori, sono raccolti in un istruttivo confronto. Ciò che colpisce immediatamente l’osservatore è l’esistenza, in ogni schema, di un traguardo centrale verso cui si svolge tutta la composizione; non nello sviluppo centrifugo di molte belle piante moderne, ma in uno sviluppo centripeto, che mantiene tutti gli elementi e gli ambienti della casa rivolti, dall’esterno all’interno, verso quel fuoco (che può essere un atrio, un cortile, un altare, un locale particolarmente importante).
Ne deriva, evidentemente, un punto di vantaggio sulle piante centrifughe; perché il muro regolare di cinta, che racchiude tutta la casa, è veramente, nella sua completa espressione funzionale oltre che nel suo significato materiale, il ‘confine’ di tutta la casa, l’origine di quel moto centripeto che si conclude anche geometricamente al centro di vita interno; mentre nelle piante centrifughe il moto irradiante dei locali dal nucleo generatore centrale vorrebbe poter continuare verso traguardi esterni posti a distanze infinite, in dissidio col muro (o cancellata, eccetera) che limita lo spazio di terreno riservato a quella proprietà e che diventa proprio un ‘diaframma’ imposto dalle pratiche necessità di limitare quel terreno, ma in opposizione con le visuali e le altre attività di vita che vorrebbero scavalcarlo per continuare ben oltre, nella loro proiezione centrifuga.
Insomma, in quelle case antiche, nate nel clima della geometria euclidea, il punto di partenza, la origine, è la cornice, e il punto d’arrivo è il centro: due punti ‘finiti’ che concludono le aspirazioni degli abitanti e dell’architetto. Invece nelle planimetrie moderne (vedi quelle di Lloyd Wright) la origine è nel centro ma i traguardi sono all’infinito; e la cornice, il muro di cinta che non ci permette di possedere tutto lo spazio, ci dà fastidio e fa di noialtri gli eterni insoddisfatti.
Ma l’errore nostro è di desiderare di possedere tutto lo spazio, di confondere l’infinito spirituale e religioso (che ogni civiltà e ogni arte traduce poi, per definizione, in termini umani e quindi finiti) con un infinito materiale irraggiungibile.
La ‘cornice’ della nostra casa, del quadro della nostra vita famigliare, non dev’essere sentita come un difetto, un ostacolo a un desiderio sfrenato di visuali, ma come l’armonico limite fisico assegnato dall’organismo sociale a ciascuno dei suoi membri.
Quel limite sarà cioè un arresto nel cammino materiale nello spazio fisico; ma sarà un progresso nel cammino verso il vertice della costruzione armonica della nostra vita.
Sembrerà comica questa ‘filosofia del muro di cinta’: ma più per il mio modo di esprimermi che nella realtà.
Occorre quindi una revisione dello schema centrifugo delle nostre abitazioni: e che da esse l’abitante non si senta spinto alla conquista di una dimensione irraggiungibile e contraria alla sua posizione umana, ma alla conquista della proporzione. Il che vuol dire, tra l’altro, opporsi alla mania del ‘panorama’ che è stato esaltato tra i requisiti essenziali della casa moderna (a scapito di altri requisiti più veramente essenziali: per esempio l’isolamento acustico, che dovrebbe salvare quel che resta del nostro udito dall’opera spaventosa di atrofizzazione operata dagli orribili rumori delle nostre città).
Desidera il ‘panorama’ (metto la parola tra virgolette per sottolineare l’interpretazione borghese che si esprime attraverso l’immancabile finestra panoramica della sala di soggiorno) soprattutto chi non ama e non capisce la propria casa: chi la sente come una prigione inerte da cui poter uscire con una guardatina romantica alle colline intorno.
Per chi ha un concetto non passivo, ma attivo dell’abitazione e perciò della sua vita intima, il panorama vero ed importante, la fonte di pensieri e di sentimenti costruttivi, è anzitutto la sua stessa famiglia, la bella architettura della sua casa, gli ambienti e gli oggetti che lo attorniano; il ‘panorama’ che si vede dalla finestra è poco più che un bisogno fisico di accomodamento del cristallino sulle lunghe distanze. Ed è significativo che questa romanticheria del ‘panorama’ (che si è anacronisticamente annidata proprio tra i caratteri di una architettura che recuperando il concetto di organismo afferma un’autonomia di propulsione interiore assolutamente estranea all’autunnale dispersione panoramica) sia soprattutto una prerogativa delle zitelle annoiate, dei nostalgici, degli ammalati senza idee, dei disoccupati dentro e fuori, insomma di chi non ha potuto o saputo o voluto trovarsi un perché.
Non daremo perciò l’ostracismo al panorama, e non impediremo certo che una casa sita in un bel paesaggio abbia le sue brave vetrate per contemplarlo. Ma il ‘panorama’ sia veramente il panorama: un mondo di natura e di civiltà nel quale l’uomo si senta immerso con tutto il suo essere, una estensione della sua vita contemplativa individuale e famigliare (che si svolge nell’interno dell’abitazione) alla contemplazione degli altri uomini e delle cose; non una cartolina colorata da guardare parsimoniosamente attraverso un cristallo un po’ più grande degli altri, accoccolati in una calda poltrona.
Non basta guardare, bisogna essere presenti nel dramma panoramico, respirarne l’aria, sentirlo come un elemento essenziale di alcuni momenti della nostra vita. Far magari la tua casa tutta di vetro, e che il panorama ci insegua dappertutto, come un ospite della famiglia; e che ci dia talvolta anche fastidio, ci ammonisca, ci corregga.
Pensiamo alle grandi ville dei secoli scorsi, costruite in luoghi panoramici. L’impegno del panorama non si esauriva coll’ordinare al falegname una finestra un po’ grandicella: ma diventava un tema ispiratore di tutta la casa. Si pensava anche agli altri, a chi dalla strada guardasse la casa, e la vedesse come protagonista del panorama, come un arricchimento di esso. Ci si impadroniva di un gran terreno, per diventare anche fisicamente possessori del panorama; non lo si riduceva al quadro bidimensionale di una visione, ma lo si faceva diventare uno spazio di attività interiore.
Oggi per un livellamento che è poi utopistico (perché nemmeno lo si raggiunge), ciascuno dovrebbe avere da casa sua un pezzettino di panorama; e tutti si guardano in cagnesco. Si dimentica che per i poveri i ricchi sono oggetto di rancore e d’invidia solo se il privilegio dei maggiori diritti non è accompagnato dalla responsabilità dei maggiori doveri (come accade ora nel tempo della ricchezza mercantile).
Ma il dovere del ricco non è di regalare filantropicamente e demagogicamente la sua villa a tanti più poveri di lui, perché si costruiscano tante villette e distribuendosi il panorama lo distruggano; bensì di fare la sua villa e la sua vita tanto belle da essere di spettacolo e di esempio agli altri (ciò beninteso non esclude il problema della miseria, e di tanti altri fattori negativi che escono dagli scopi di questo discorso).
Il vetro, come materiale trasparente che tanto più esiste quanto più finge di non esistere, è una delle mode surrealistiche di un’epoca che ha paura della realtà. I migliori architetti moderni hanno tanto usato il vetro non per regalare panorami ai loro clienti (quello è stato solo un pretesto per convincerli ad accettare qualche preventivo un po’ salato); ma perché il vetro è in se stesso indipendentemente dalla sua trasparenza bellissimo materiale, lucido, esatto, duraturo, e perché la trasparenza del vetro concedeva di arricchire il gioco ottico dei piani e dei volumi e dei colori della composizione architettonica.
È del resto almeno sintomatico che gli antichi, in quelle loro planimetrie centripete, tenessero i locali tutti rivolti sul cortile interno con esclusione di ogni velleità ‘panoramica’.
L’avvenire più legittimo del vetro è probabilmente non tanto nei suoi requisiti di trasparenza, quanto nella sua qualità di materiale nobile, che, attraverso i continui e sorprendenti perfezionamenti della sua tecnica di fabbricazione, già lo fanno e sempre più lo faranno, in molti casi, il sostituto delle pietre.
Testo tratto dalla rivista Origini, a. VI, n. 9, agosto 1942, pp. 3-4. Diagonale sull’architettura: Anti “panoramica”.









