Roberto Calvi, Banco Ambrosiano, Vaticano, P2, massoneria, servizi segreti, Londra, omicidio: tutto questo, e molto di più, è dentro "I banchieri di Dio – Il caso Calvi", ora disponibile su RaiPlay. Il film, diretto da Giuseppe Ferrara, è un vero e proprio atto d’accusa. Un’inchiesta narrata per immagini. Una ferita aperta trasformata in racconto cinematografico.
Uscito nel 2002 ma nato negli anni ’80, il film ricostruisce l’ascesa e la rovinosa caduta di Roberto Calvi, banchiere italiano trovato impiccato sotto il Ponte dei Frati Neri a Londra nel 1982. Una morte mai chiarita. Una storia vera, torbida e ancora attuale. Omero Antonutti veste i panni di Calvi, uomo potente ma solo. Accanto a lui, Alessandro Gassmann è Francesco Pazienza, agente segreto ambiguo e legato a logge massoniche. Ci sono anche Giancarlo Giannini nei panni del faccendiere Flavio Carboni, Pamela Villoresi come Clara Calvi e Rutger Hauer nel ruolo dell’arcivescovo Paul Marcinkus.
Il film non fa sconti. Mostra nomi, intrecci, riunioni segrete, coperture istituzionali. Parte dal 1976, da una stanza in cui si decide il futuro del denaro italiano. Si muove tra arresti, sparizioni, documenti bruciati e valigie piene di dollari. Nel racconto c’è tutto: Michele Sindona, Licio Gelli, Umberto Ortolani. Uomini che hanno fatto e disfatto governi. Il film li mostra per ciò che erano: artefici di una rete di potere tentacolare. I banchieri di Dio adotta un tono distaccato. Lo stile è quasi giornalistico. I personaggi non cercano empatia, ma fanno tremare per ciò che rappresentano. È una visione che sconvolge, anche oggi. Ed è gratuitamente visibile su RaiPlay.

RaiPlay, un’eredità scomoda ma necessaria
Il progetto nacque come film per Gian Maria Volonté. L’attore, simbolo del cinema di denuncia, avrebbe dovuto interpretare Calvi. La sua scomparsa lasciò il ruolo ad Antonutti. Il film gli è dedicato. Il Ministero della Cultura ha riconosciuto l’opera come di interesse culturale nazionale. Un sigillo che sottolinea l’importanza storica del racconto. Ma il pubblico non lo premiò. Le sale rimasero fredde. Troppo difficile, troppo scomodo?
Eppure oggi, nel pieno della riscoperta del cinema-verità, il film assume un peso nuovo. L’interesse verso storie vere, scandali, misteri italiani non si è mai spento. Anzi, si è acceso ancora di più con il digitale e le piattaforme on demand. Chi guarda I banchieri di Dio oggi su RaiPlay scopre una narrazione che precede il true crime moderno. Una pellicola che affronta poteri troppo spesso dimenticati. Una memoria scomoda ma fondamentale.
Non c’è retorica, né eroismo. Solo fatti, atti, telefonate, morti sospette. Una tela complessa, dove Calvi appare come un burattino finito tra le fauci di un sistema troppo grande. Il film ha ispirato molte opere successive. Da documentari a fiction televisive. Ma nessuna ha avuto lo stesso coraggio visivo. Nessuna ha usato il cinema come Ferrara: per accusare, interrogare e raccontare. Guardarlo oggi è un atto civile. Un modo per ricordare che la verità spesso si nasconde nei dettagli. E che a volte, per raccontarla, serve la forza del cinema. Non è solo un film. È un viaggio nella zona d’ombra del potere italiano. Dove tutto è collegato. Dove ogni nome conta. Dove un uomo viene trovato impiccato, ma la sua storia resta ancora viva.