Matteo Martari: il maschio in crisi che conquista Netflix (e il cuore del pubblico).
C’è qualcosa di profondamente autentico in Matteo Martari, anche quando interpreta un personaggio come Massimo in Maschi veri, il remake italiano della serie spagnola Machos Alfa targato Netflix. Ex dirigente televisivo licenziato per comportamenti sessisti, Massimo è il prototipo del “maschio alfa” che si trova improvvisamente disarmato di fronte a un mondo che non lo riconosce più. E chi, meglio di Martari, poteva incarnare questa contraddizione? Con il suo sguardo severo ma fragile, l’attore veronese porta sullo schermo un uomo che, abituato a dominare, si ritrova a leccarsi le ferite di un’identità messa a dura prova.

Licenziato, umiliato e superato dalla compagna che diventa una star dei social, Massimo reagisce nel modo più disfunzionale: fonda un movimento per “ricostruire la virilità”, trasformandosi in un improbabile guru. La forza della serie e della sua interpretazione sta tutta qui: Maschi veri non giudica, ma mostra. Martari rende credibile un personaggio scomodo, portando sul piccolo schermo un uomo ferito che si aggrappa a vecchi modelli mentre il mondo intorno evolve. La sua crisi, comica ma anche tragica, diventa uno specchio per un’intera generazione di quarantenni spaesati.
Matteo Martari e Özpetek: un’interpretazione lontana anni luce (eppure così vicina)
Chi conosce solo il Martari di Maschi veri, però, rischia di perdere una sfumatura essenziale della sua carriera: quella più intima e vulnerabile, che emerge nel film La dea fortuna di Ferzan Özpetek. Uscito nel 2019, il film racconta una storia d’amore stanca, di una famiglia atipica che si forma (e si salva) nell’imprevisto. Qui Martari interpreta Michele, un personaggio secondario ma carico di significato. Il suo ruolo, apparentemente marginale, diventa un nodo emotivo che contribuisce a dare forma a quell’universo complesso e struggente costruito da Özpetek. In La dea fortuna, l’attore abbandona completamente le pose da maschio alfa e si muove con grazia tra silenzi, sguardi e presenze leggere. Michele non urla, non rivendica. Esiste in punta di piedi, come spesso accade nei film di Özpetek, dove i personaggi vivono nelle crepe della narrazione, eppure restano impressi con forza. Ed è proprio qui che Martari sorprende: nel passaggio da protagonista dominante a satellite emotivo, riesce a raccontare un’altra mascolinità.
Non quella in crisi, ma quella che sa stare accanto, che ascolta, che sceglie di esserci. È proprio questo il punto d’incontro tra Maschi veri e La dea fortuna: la fragilità. Se in uno Martari interpreta un uomo che cerca disperatamente di aggrapparsi al potere perduto, nell’altro offre l’immagine di un maschio che ha già fatto pace con l’idea di non dover dominare. Due ruoli diversi, due registi diversi, ma una stessa sensibilità attoriale che dimostra quanto Martari sia un interprete completo. Dal maschio spiazzato che non accetta di essere mantenuto, all’uomo che vive con pudore in una famiglia queer fatta di dolore, amore e rinascita: Martari si conferma una delle voci più interessanti del cinema italiano contemporaneo.