Su RaiPlay è tornato uno dei film più crudi e autentici degli ultimi trent’anni. Si intitola My Name Is Joe e ha fatto piangere il pubblico del Festival di Cannes nel 1998.
Il regista è Ken Loach, maestro del cinema sociale britannico, che con questo film ha toccato il cuore di milioni di spettatori in Europa. E non solo. Il protagonista è Peter Mullan, premiato a Cannes come Miglior Attore per una performance che lascia il segno. Mullan non interpreta Joe. Lo è. Dentro e fuori dallo schermo.
Il film è ambientato nei quartieri operai di Glasgow. Strade sporche, case umide, pub fumosi. Ma anche solidarietà, rabbia, umanità. Nessuna scena è estetica. Tutto è vero. Tutto è dolorosamente reale. Joe è un uomo qualunque. Ex alcolista, disoccupato, allenatore volontario di una squadra di calcio di ragazzi ai margini. Vive di lavoretti e parole buone. Ma non basta.
La sua vita cambia quando incontra Sarah, un’assistente sociale. Lei lavora con Liam, uno dei suoi ragazzi, un giovane fragile, con una compagna tossicodipendente e troppi debiti sulle spalle. Joe cerca di proteggerli entrambi. Di salvarli. Ma nel suo tentativo disperato, rischia di perdere tutto. Anche l’unica donna che abbia mai amato.
RaiPlay: una storia che colpisce come un pugno e che resta dentro
My Name Is Joe non è un film da vedere distrattamente. È un'esperienza. Una finestra su un’umanità dimenticata. Con attori veri, alcuni non professionisti, presi dalla strada. Loach gira con realismo spietato. Nessun trucco, nessun effetto. Solo la vita, come accade davvero. Cruda. Ingiusta. Ma a volte tenera.
Barry Ackroyd firma la fotografia: camera a spalla, luci naturali, immersione totale. Ogni scena è un pezzo di mondo, non una ricostruzione da studio. La sceneggiatura è di Paul Laverty, storico collaboratore del regista. Laverty conosce quelle strade, quelle voci, quelle paure. E le scrive senza giudizio.
Il film ha ricevuto 13 premi e 11 nomination nei festival internazionali. Ma il riconoscimento più importante resta il pubblico. Quello che si ferma in silenzio dopo i titoli di coda. Tra i momenti più forti, la scena finale. Joe e Sarah si ritrovano al funerale di Liam. Non si parlano. Ma qualcosa è cambiato. Una possibilità, forse. Una speranza minima, ma reale. Questa scelta di non chiudere tutto con una morale è ciò che rende Loach unico. Non ti consola. Ti fa pensare.
Il film ha ispirato altre opere, come Io, Daniel Blake e The Navigators, contribuendo a rinnovare il cinema sociale europeo. Ha aperto una strada, e tanti l’hanno seguita. Peter Mullan, dopo questo ruolo, ha avuto una carriera internazionale. Ma è qui, in questa interpretazione, che ha lasciato il suo segno più profondo.
Guarda My Name Is Joe su RaiPlay oggi. Se cerchi una storia vera, senza filtri. Se vuoi sentire qualcosa che non hai mai sentito. È uno di quei film che ti cambiano. Anche solo un po’.