Anime nere, il film che ha sbancato ai David di Donatello ed è ora su Netflix: un gioiello italiano da riscoprire.
Nel mare magnum dei contenuti su Netflix, c'è un film italiano che merita più attenzione che mai, soprattutto in questi giorni in cui si parla tanto di David di Donatello. Si tratta di Anime nere, diretto da Francesco Munzi, una pellicola che non solo ha conquistato la critica, ma ha anche fatto incetta di premi prestigiosi, diventando uno dei titoli italiani più celebrati dell’ultimo decennio. Quando uscì nel 2014, lasciò il segno. Ma fu l’anno successivo, alla cerimonia dei David di Donatello, che il film entrò di diritto nella storia del cinema italiano. Su 16 nomination, se ne portò a casa ben 9, tra cui Miglior film, Miglior regia (Francesco Munzi), Migliore sceneggiatura, Migliore produttore, e Miglior fotografia.

Un bottino impressionante che lo ha consacrato come opera di riferimento per chiunque voglia capire la Calabria più oscura, quella segnata dalla 'ndrangheta e dal richiamo potente delle radici. Ma non è finita qui: Anime nere ha vinto anche 3 Nastri d'Argento, un Globo d’Oro e diversi riconoscimenti internazionali tra cui quelli assegnati dal Premio Amidei e dal festival 8½ Cinema Italiano. Una pioggia di premi che ne attesta la potenza narrativa, la profondità drammatica e l’impatto visivo.
Una tragedia moderna tra sangue, famiglia e destino: su Netflix il film che ha fatto incetta ai David di Donatello
Tratto dal romanzo omonimo di Gioacchino Criaco, il film è ambientato ad Africo, in Calabria, luogo simbolo della criminalità organizzata ma anche di una cultura ancestrale e inafferrabile. La trama si sviluppa come una vera e propria tragedia greca, in cui la famiglia, l’onore e la vendetta intrecciano un destino ineluttabile. Protagonisti sono tre fratelli, legati da un passato comune ma divisi da scelte di vita opposte: Luciano, il più anziano e legato alla terra; Luigi, criminale internazionale; Rocco, uomo d'affari trapiantato a Milano. Il detonatore della storia è Leo, il figlio ribelle di Luciano, che con un atto sconsiderato fa deflagrare vecchi rancori e rievoca una spirale di faida da cui nessuno potrà uscire indenne.
Una regia rigorosa al servizio della storia: Munzi, con questo terzo film, sceglie di non imporsi mai sulla narrazione. La sua regia è sobria, essenziale, quasi invisibile. Ma proprio in questo rigore sta la sua forza: lascia spazio ai personaggi, alle atmosfere, alle tensioni che montano scena dopo scena. Non c’è spazio per effetti speciali o melodrammi: tutto è contenuto, credibile, dolorosamente umano. A differenza di altri registi che hanno raccontato la criminalità organizzata in modo più spettacolare o simbolico, Munzi opta per una rappresentazione asciutta, che fa male proprio perché sembra reale. E il risultato, premi alla mano, è inequivocabile.